«Fare arte in quarantena? Stare soli aiuta la creatività»

Pignatelli: «Finalmente disegno molto». Velasco: «Ora conterà solo l'opera». Frangi: «La casa diventa atelier»

«Fare arte in quarantena? Stare soli aiuta la creatività»

A Milano e in Lombardia nessun lavoro è più come prima, da due settimane a questa parte: ebbene, ci siamo chiesti, come si declina lo smart-working per un artista? Per chi è abituato a muoversi molto, a frequentare gallerie e fiere, a confrontarsi ogni giorno con la risposta del pubblico, che cosa comporta questo periodo di doverosa pausa? Lo abbiamo a quattro noti artisti milanesi.

LUCA PIGNATELLI (pittore)

«Per me questo rappresenta un momento cruciale: i pensieri sono concentrati, nitidi. Da sempre nel mio lavoro la concezione del tempo e il salvataggio della memoria è fondamentale: oggi il futuro che abbiamo creduto essere vero, cioé quella compressione istantanea di tempo e di spazio attraverso internet, è superato, sbagliato. Si finisce per prestare attenzione a cose prima scontate, come il breve tragitto che faccio quasi tutti i giorni tra casa e studio, qui a Milano racconta Luca Pignatelli, 57 anni - Il fatto che qualcosa di piccolo e invisibile, un virus, stia cambiando la vita di noi tutti da un lato crea panico, dall'altro placa alcune ansie preesistenti rispetto al dover fare, al dover apparire: ritengo che questo momento di pausa forzata in fondo farà bene alla nostra psiche. Se avrà ricadute sul mondo dell'arte? Certo: cambierà il nostro atteggiamento davanti a strutture che ritenevamo, a torto, inossidabili. Penso al gran circo che ruota attorno alle fiere, alle mostre, al mercato... Da sempre credo che una parte della ricerca artistica debba rimanere segreta e procedere lenta. Queste giornate le vivo proprio così. Sto infatti disegnando molto e scrivendo con la macchina da scrivere. Da poco ho realizzato quattro grandi opere: sono figure con delle mancanze, con segni geometrici assai vicini alle forme mute dell'astrazione».

VELASCO (pittore-scultore)

«Mi trovo a Bellano, mio paese natale sul lago di Lecco: qui ho studio e casa. Questa reclusione forzata è un'occasione per stare concentrati sul lavoro, per avere il tempo necessario per riflettere: mi pare di essere tornato indietro ai miei vent'anni, al primo approccio verso una professione che significava una vera e propria esclusione dal mondo, quando essere un artista voleva dire vivere nella marginalità ed essere sbilanciati sulle proprie creazioni. A dire il vero, questa che stiamo vivendo mi appare come la condizione ideale per ogni artista: si impara a vivere lontano dalle proprie presunzioni. Dopo aver tutti compiuto una corsa ambiziosa per affermarci, si dimostra ancora una volta che ciò che conta davvero è l'opera. Dunque, questo è un momento paradossalmente buono per noi. Il confronto lo fai solo con te stesso, sei costretto a farti domande essenziali, primarie: perché sono un artista? Per chi creo? Ogni opera sembra, da questo punto di vista, fragile e quasi insufficiente racconta Velasco Vitali, 59 anni, figlio d'arte dell'appena scomparso Giancarlo Vitali . Se questo periodo di quarantena sarà lungo come sembra, non so dire come ne usciremo: di certo cambierà tutto, è una purga che noi artisti non ci aspettavamo di dover digerire. Abbiamo vissuto nell'epoca più presuntuosa della storia dell'arte, forse è giunto il momento di pagare il conto. Osservo molto la natura, in questi giorni: qui al lago sembra aver già preso possesso di spazi nuovi, dando il meglio di sé. Quando torneremo a essere liberi la vorremo di nuovo a nostro totale servizio?».

GIOVANNI FRANGI (pittore)

«Devo ammetterlo: in queste giornate così angoscianti per le notizie che tutti i giorni, ad ogni ora, riceviamo, se lavoro mi sento meglio. Ho trasportato una parte del mio studio in casa, dove ho spazio sufficiente per poter attrezzare una postazione comoda. Mi sono posto due obiettivi: il primo riguarda un libro con Giovanni Agosti, per il quale sto facendo una ricerca iconografica. E poi ho portato con me dall'atelier alcune carte grandi, circa 70 per 90 centimetri, e ho cominciato a lavorarci un po' su - ci dice Giovanni Frangi, 61 anni -. Devo sforzarmi per trovare la concentrazione necessaria, mi sto imponendo di non perdere di vista le opere che dovevo ultimare. Avevo in programma a Udine una mostra con degli stampatori che ovviamente sarà rimandata, mi saranno però inviate dieci lastre per le incisioni e ho intenzione di mettermi subito al lavoro: passare delle ore in studio, tutti i giorni, mi dà metodo. Da sempre per me l'essere artista si combina con l'avere un ritmo. Se è vero che i migliori risultati sono frutto di momenti magici, devo ammettere che nel mio caso hanno coinciso con i periodi di maggior concentrazione e rigore: applicandomi con metodo, poi sbagliando, poi riflettendo sulle difficoltà e rifacendo tutto da capo, ho trovato la strada giusta. Se la quarantena durerà a lungo, forse tra un po' noi artisti avremo problemi a procurarci alcuni materiali, ma ricordiamoci che Picasso fece Guernica con della semplice tempera a muro...».

PAOLA DI BELLO (fotografa)

«Le mie giornate sono cambiate moltissimo, la gestione del tempo è fuori controllo ci dice Paola Di Bello, artista e docente di Fotografia all'Accademia di Brera, nonchè figlia d'arte del concettuale Bruno Di Bello ma questo periodo sospeso porta anche a importanti riflessioni. Come docente sto valutando i pregi del telelavoro; come artista, in questi giorni, sto approfittando per rimettere mano al mio archivio ma per ora, non sto andando in giro a fare fotografie. Anzi, devo dire che m'interessa poco questo immaginario ora tanto in voga delle città deserte. All'occhio del fotografo di paesaggio urbano le città sono deserte da sempre, fin dai lavori degli Alinari: pensiamo, giusto per fare un nome noto, agli scatti di Gabriele Basilico. Ho realizzato però per un'amica giapponese un video che reputo significativo: riprende un unico passante per strada, con il carrello della spesa.

Quel che è interessante non è lo spazio vuoto, ma il suono: si avvertono il cigolio del carrello e il canto degli uccelli. Questo dà la percezione, ben più che delle foto di piazze deserte, di quel che sta succedendo alle nostre città: il silenzio è l'aspetto più impressionante».

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