Chi l'ha detto che nessuno è profeta in patria? La Milano che cambia volto stavolta ha deciso di aprire ai suoi artisti contemporanei, anche quelli meno piacioni ma che da sempre sono attenti al territorio e alle sue anime. Ieri è stata una giornata importante per Alberto Garutti, maestro italiano di public art che, nel linguaggio contemporaneo, significa progettare un'opera d'arte attraverso le storie e le urgenze di una comunità. Milano gli dedica una retrospettiva al Pac che è una sorta di archivio vivente delle sue azioni in tanti luoghi del mondo. «Vivente», anche perchè la mostra stessa racchiude un'opera in divenire: decine di microfoni ambientali raccoglieranno i commenti anonimi dei visitatori, involontari autori di un futuro libro di Garutti. Ma l'aspetto più rilevante è che all'artista lombardo la città dedica anche il suo primo monumento permanente, inaugurato nel neonato quartiere di Porta Nuova. Nella piazza circolare ai piedi dell'edificio più alto d'Italia, l'artista ha realizzato una scultura composta di 23 tubi di ottone che percorrono i quattro piani di rampe del parcheggio.
Anche stavolta, in puro stile garuttiano, la forma (vagamente floreale) non è mai prioritaria al concetto che condensa la sua poeticità nel coinvolgimento degli abitanti di un luogo e nelle loro relazioni. La didascalia ne è parte integrante: «Quest'opera è dedicata a chi passando di qui penserà alle voci e ai suoni della città» scrive Garutti. Attraverso ogni tubo è infatti possibile, appoggiando l'orecchio all'estremità, ascoltare suoni, rumori, parole provenienti da altre parti dell'edificio.
I fedigrafi sono avvisati. Due degni omaggi, dunque, ad un artista italiano che ha fatto dell'insostenibile leggerezza del comunicare la propria cifra stilistica, durante una lunga carriera espressa in progetti nello spazio urbano sempre al limite tra arte, architettura e studio sociologico. Se il senso dell'opera è sempre nel sottotesto, l'artista conferisce al testo - inteso come parola scritta o parlata - un valore determinante. La mostra del Pac, promossa dall'assessore alla Cultura del Comune di Milano Stefano Boeri e a cura del critico svizzero Hans Ulrich Obrist e di Paola Nicolin, testimonia questo processo creativo ed è certamente istruttiva per un pubblico scettico nei confronti di un'arte di natura concettuale e dunque non (sempre) corrispondente ai tradizionali canoni estetici. Il Padiglione espone senza pretese cronologiche le testimonianze delle sue opere più importanti. Una delle ultime, è l'iscrizione che Garutti ha composto su una pietra collocata al suolo dell'aeroporto di Malpensa e che recita: «Tutti i passi che ho fatto nella mia vita mi hanno portato qui, ora». Non è un caso che la parola «Didascalia» («Caption») figuri come sottotitolo a questa retrospettiva che, nella prima sala, accoglie i visitatori con grandi risme di carta colorata riportanti appunto le didascalie delle sue opere più celebri.
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