Grandi elettori a Roma. Tocca a Fontana e Fermi ed è sfida Pd-5 Stelle

Il Consiglio regionale sceglie i delegati il 10 Le ipotesi nel centrodestra, il derby a sinistra

Grandi elettori a Roma. Tocca a Fontana e Fermi ed è sfida Pd-5 Stelle

Quirinale, ci siamo. La macchina istituzionale si è messa in moto in vista delle elezioni del Capo dello stato (il 24 gennaio) e anche la Regione Lombardia si appresta a fare la sua parte, come previsto dalla Costituzione, seguendo un sentiero che è tracciato dalla consuetudine ma non esclude un certo margine di manovra politica.

Complessivamente gli aventi diritto al voto nel Parlamento in seduta comune sono 1.009 e al voto si procederà con scrutinio segreto e chiamata nominale. Come noto, nei primi tre scrutini sarà richiesta la maggioranza di due terzi (in questo caso 672 membri) mentre dalla quarta votazione in poi sarà sufficiente la maggioranza assoluta (il 50 per cento più uno).

L'articolo 83 della Carta stabilisce che il presidente della Repubblica sia eletto dal Parlamento in seduta comune (deputati e senatori insieme) e che tutte le Regioni partecipino all'elezione con tre delegati scelti dai Consigli regionali (salvo la Valle d'Aosta che manda a Roma un solo delegato), assicurando la «rappresentanza delle minoranze».

Sono 58 i «grandi elettori» regionali e si aggiungono a 630 deputati, a 315 senatori e a 6 senatori a vita. La Gazzetta Ufficiale ha dato notizia della convocazione firmata dal presidente della Camera Roberto Fico, sentita la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati: «La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica - si legge - sono convocati, in seduta comune, con la partecipazione dei delegati regionali lunedì 24 gennaio 2022, alle ore 15, con il seguente ordine del giorno: elezione del Presidente della Repubblica». Vista la convocazione e le indicazioni quirinalizie, il presidente Alessandro Fermi ha convocato il Consiglio regionale per martedì 11 gennaio alle 10. Il voto avviene a scrutinio segreto e i consiglieri utilizzeranno un'apposita cabina per garantire questa segretezza. Ogni consigliere regionale può esprimere al massimo due preferenze e questo «voto limitato» è lo strumento che contribuisce ad assicurare la rappresentanza delle minoranze, visto che i consiglieri di maggioranza dovrebbero esprimere due voti, facendoli convergere su due figure prescelte, lasciando che il voto espresso dai consiglieri della maggioranza vada a esprimere il terzo «grande elettore». In genere, per prassi, per rappresentare la maggioranza regionale vengono scelti il Governatore e il presidente del Consiglio regionale. E Fontana si è già dichiarato pronto a votare per l'ex premier Silvio Berlusconi candidato del centrodestra. Per le minoranze tocca a un consigliere d'opposizione.

In teoria non è obbligatorio che i delegati siano consiglieri: l'Assemblea potrebbe infatti votare figure esterne. Anche nel 2015, comunque, furono votati come delegati il presidente della Regione Roberto Maroni, il presidente del Consiglio regionale Raffaele Cattaneo e il consigliere regionale Alessandro Alfieri, che era segretario regionale del partito più forte dell'opposizione. Il leghista Maroni allora ottenne 40 voti, e 32 li prese Cattaneo, che allora faceva parte di Ncd (formazione che stava in maggioranza in Lombardia ma non era parte organica del centrodestra a livello nazionale) mentre furono 21 voti i voti per Alfieri, e dall'urna lombarda ne uscirono anche 15 voti per Andrea Fiasconaro (M5Stelle).

Stavolta nel Pd, la ambita missione romana dovrebbe toccare al capogruppo Fabio Pizzul (che avrebbe superato le aspirazioni del vicepresidente del Consiglio, Carlo Borghetti), però la «quasi alleanza» politica coi 5 Stelle con la sinistra adesso dà forza anche alle ambizioni del grillino (moderato) Dario Violi, candidato governatore 4 anni fa. Il confronto fra 5 Stelle e grillini, che hanno una consistenza simile al Pirellone, stavolta potrebbe essere risolto in sede di compensazione nazionale con altre regioni.

In casa centrodestra, invece, l'unico problema potrebbe sorgere a causa delle provenienza (leghista) di entrambi i vertici istituzionali, Fontana e Fermi, ma se a Roma arrivassero

legittime rivendicazioni da parte di Forza Italia, o di altri leghisti, il presidente del Consiglio regionale (ma forse lo stesso governatore) potrebbe essere disposto «pro bono pacis» a sacrificare il posto che gli spetta.

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