"Ha mandato a quel paese l'art. 1 della Costituzione". L'ex ministro contro Sala

Il sindaco di Milano ha annunciato al gay pride il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali ma Giovanni Maria Flick ha stroncato la sua iniziativa, spiegando che il suo è un azzardo etico e normativo

"Ha mandato a quel paese l'art. 1 della Costituzione". L'ex ministro contro Sala

Beppe Sala ha dato uno strappo al Parlamento e ha deciso in autonomia che a Milano ci dev'essere il riconoscimento dei figli nati in Italia da coppie omogenitoriali. Una decisione che ha fatto storcere il naso a molti, soprattutto per la mancanza di rispetto dimostrata verso le istituzioni centrali del Paese. Il Comune aveva già iniziato a riconoscere i figli di queste coppie poi "avevamo avuto sentenze avverse e il Parlamento doveva legiferare, ho aspettato che lo facesse ma non si sono mossi e dovevo fare la mia parte", è stata la sua spiegazione. Su la Stampa, chi conosce per davvero i meccanismi di un Paese democratico e le sue gerarchie, solleva dei dubbi su quanto dichiarato da Beppe Sala.

Lui è Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex ministro di Grazia e giustizia del governo Prodi I. Politicamente era collocato nel Centro democratico e le sue rimostranze contro Sala si basano sulla forma scelta dal sindaco di Milano, che mina la sua struttura organizzativa. "Mi sembra che stiamo un po' mandando a quel paese l'articolo 1 della nostra Costituzione e un minimo di certezza delle regole: la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Al popolo, non ai sindaci". Appunto inoppugnabile da parte di Flick, che ci tiene a sottolineare che "uno dei limiti imposti dalla Costituzione è che le leggi le promulga il Parlamento e non i sindaci. Oppure la sovranità popolare direttamente attraverso i referendum o le leggi di iniziativa popolare".

Sono le basi dell'ordinamento dello Stato italiano, che a molti che ora esultano per quanto dichiarato da Beppe Sala dal palco del gay pride di Milano sembrano essere sfuggite. Il sindaco di Milano ha puntato il dito contro il Parlamento nella sua invettiva populista, ma Giovanni Maria Flick ha riportato il mondo idealista in quello reale, facendo notare che l'omogenitorialità non è una priorità assoluta: "Vorrei ricordare che il Parlamento non riesce a legiferare su questioni ben più diffuse dell'omogenitorialità, come ad esempio il fine vita". Sui motivi dell'impasse, Flick non ha dubbi: "La Corte costituzionale nel 2019 si era espressa sul tema: impedire a una coppia formata da due donne di usare la procreazione medicalmente assistita per attuare un insindacabile desiderio di genitorialità è legittimo".

Flick fa notare che esistono già misure dedicate alla genitorialità, come l'adozione da parte del genitore non biologico come estensione della norma dell'adozione speciale del minore in stato di abbandono. E, in più, come accaduto a Milano a tre coppie omosessuali, esiste anche il "riconoscimento dei minori nati all'estero secondo la legge ivi vigente". Dal punto di vista di Flick quello di Sala è stato un azzardo normativo ma anche etico: "Mi lascia un po' perplesso. Non mi piace che si prendano decisioni senza un discorso approfondito sull'interesse dei figli. È di questo che bisogna parlare".

Che fosse una mossa populista, fatta al fine di racimolare qualche consenso in più durante il gay pride, s'era capito, anche perché per uno strano incastro di casualità, la firma al provvedimento è arrivata proprio il giorno prima che Sala salisse sul palco del pride col suo taschino rainbow.

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