«I giudici mi costringono a chiudere il San Babila»

«I giudici mi costringono a chiudere il San Babila»

Dopo lo Smeraldo, il San Babila. L'ultima tegola sul mondo del teatro milanese - già afflitto da bilanci in crisi e carenza di fondi - stavolta arriva dai giudici. In particolare, dalla corte d'Appello che, ribaltando clamorosamente la sentenza di primo grado che salvava dallo sfratto lo storico San Babila diretto da Gennaro D'Avanzo, decreta di fatto la chiusura della sala con effetto immediato. Una doccia gelata arrivata appena 16 mesi dopo - tempi da record - la decisione che dava ragione al direttore del teatro nella vertenza contro la parrocchia di San Babila, proprietaria di quell'immobile come di molti altri nel quartiere. Allora, i giudici erano stati chiarissimi: l'affitto della sala era da considerarsi a tutti gli effetti un «contratto di locazione di immobile» e non d'azienda, dunque D'Avanzo aveva diritto ad una proroga fino al 30 giugno 2020. Ieri l'ennesimo colpo di scena, degno di una commedia degli errori se di mezzo non ci fosse un teatro che ha fatto un pezzo di storia della città, una stagione già fissata, migliaia di abbonamenti e una ventina di dipendenti.
Se l'aspettava, D'Avanzo?
«Assolutamente no e siamo davvero curiosi di leggere le motivazioni che smentiscono quanto sentenziato in modo lapalissiano dai giudici di primo grado. Lo stesso parroco Alessandro Gandini aveva dichiarato che non avrebbe neppure fatto appello. E invece la nuova sentenza è arrivata, e in tempi supersonici considerati quelli della giustizia civile».
Farete anche voi appello?
«In Cassazione certo, dove ci auguriamo abbiano almeno il buon senso di decretare una sospensiva per farci terminare la stagione. Abbiamo firmato contratti per una decina di spettacoli tra prosa, opera e operetta. Ma ciò che più mi preoccupa è l'azienda, i 16 dipendenti che sarò costretto a licenziare».
E il teatro che fine farà?
«Me lo dicano i giudici, o il parroco che me l'aveva giurata nonostante io pagassi 130mila euro l'anno d'affitto per l'immobile. Sottolineo immobile perchè io ho affittato solo i muri e quando sono arrivato qui non c'era nulla, neppure i lampadari, altro che azienda. Ma la parrocchia ci teneva troppo ad avere il teatro, accusandomi perfino di un cartellone scadente, mentre il San Babila fa spettacoli d'autore (in questi giorni debutta Giorgio Albertazzi) e ha al suo attivo 3.500 abbonati tra cui soprattutto famiglie e anziani. Che cosa diventerà? Secondo me uno showroom di moda, non certo un oratorio».
La sentenza ha effetto immediato, come farete con la stagione?
«Non ne ho idea, ma il danno con tutti i contratti già firmati non è inferiore ai duecentomila euro. Senza contare tutti coloro che resteranno senza lavoro, alla faccia delle chiacchiere sulla disocuppazione e, aggiungo in questo caso, della carità cristiana».
Perchè secondo lei i giudici hanno cambiato idea?
«È assolutamente incomprensibile perchè la sentenza di primo grado, per i suoi contenuti, era praticamente inappellabile.

In Italia tutti i teatri hanno contratti di locazione d'immobile e non capisco perchè non debba valere per me. Eppoi ci stiamo dimenticando della legge salva-teatri che nel 2006 salvò il Nuovo dallo sfratto. Con me due pesi e due misure?»

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