«I miei piatti? Sono come giocattoli»

«I miei piatti? Sono come giocattoli»

È possibile riuscire a prendere una stella Michelin nel quartiere della movida, i Navigli, e senza mai abbandonare la cucina per passerelle televisive o lectio magistralis nelle fiere internazionali del gusto? È possibile sì, anche se si ha soltanto 33 anni e nessun maestro eccellente, ma soltanto una gran voglia di cucinare, divertirsi e far divertire. Lui è Matias Perdomo, nativo dell'Uruguay (qualcuno lo ha ribattezzato il Cavani della cucina) ed è il «masterchef» del Pont de Ferr, storica osteria dell'Alzaia Naviglio Grande fondata da Maida Mercuri. Dell'osteria, da quando sette anni fa ha preso le redini della cucina in cui era un infaticabile «aiuto», sono rimasti soltanto i muri e l'arredamento rustico. Al posto dei salami caldi e della cotoletta, Matias sbizzarisce la propria fantasia con un menù che spazia dalla cipolla di Tropea caramellata, al sashimi di filetto di bue con foglie di foie-gras, alla piuma di maiale iberico servita con crema di burrata e ricci di mare. A pochi metri, pullulano pizzerie, kebab d'asporto e i cinesi all you can eat.
«Devo ammettere che i primi tempi è stata dura, anzi durissima. I clienti volevano la casseoula o i mondeghili e quando aprivano il menù scappavano via. Devo ringraziare Maida che ha creduto in me».
Deve ringraziare anche sè stesso per aver rischiato. In Italia si dice: squadra che vince non si cambia e il «Pont de Ferr» ha un titolo in dialetto...
«Se è per questo anche Carlo (Cracco) e Gualtiero (Marchesi) venivano qui a mangiare formaggi e affettati. Poi un bel giorno Cracco venne a sapere che c'era qualcun altro oltre a lui che si permetteva di servire la carne con la polpa di ricci di mare. Venne a mangiare e fece anche il bis».
Ma come ha fatto a convincere la storica proprietaria a stracciare il menù con tutti i piatti della tradizione?
«Lei mi ha detto: ti lascio sperimentare purchè salvi sette piatti cult. E così è stato, infatti gli affettati ci sono ancora e anche qualche piatto della tradizione come i rognoncini di vitello e gli gnocchi di patate alla brace. Ovviamente li presento alla mia maniera....».
Già, dalla sua cucina escono composizioni kandinskiane. A parte la mitica cipolla, si diverte a «sferificare» qualsiasi cosa, dall'acqua di mozzarella all'estratto di peperone...
«La mia prima regola è divertirsi. A 14 anni lavoravo in un'azienda di giocattoli e per me non c'era niente di più emozionante che riuscire a trasformare un pezzo di legno in un oggetto colorato. Ecco, in cucina ho mantenuto quello spirito e la gioia di trasformare con le mani la materia. Non potrei fare il pasticcere che sta lì fermo ad aspettare....»
A furia di trasformare, ci ha preso gusto a inventare piatti con lo zucchero soffiato, dalla cipolla di Tropea alla «finta» pesca per il «bon bon di Bellini». Nella sua cucina sembra di entrare in un laboratorio di Murano...
«E infatti ora siamo in 14 e prima eravamo in quattro... Per imparare a soffiare lo zucchero ho perso notti intere e devo molto al grande chef spagnolo Jordi Roca. Devo dire che è un metodo molto divertente, ma quando il ristorante è pieno c'è da sudare freddo...»
Recentemente, accanto al Pont de Ferr, ha aperto un bar-ristorante specializzato in rubìtt, che sta per tapas in milanese
«Beh, è stato un modo per lavorare sull'identità del luogo. Questa è la città dell'aperitivo, ma l'happy hour ha guastato una tradizione che in passato era genuina: il buon vino, i formaggi, il salame nostrano.

Ora i giovani trangugiano piatti di schifezze che stanno sul bancone dalle quattro di pomeriggio fino a sera. È la loro cena».
Al suo «Rebelot», invece, che si mangia?
«C'è una vera cucina che prepara piattini al momento. C'è chi parla di tapas, ma in Veneto si chiamano cicchetti...».

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