«I miei primi 50 anni insieme a Diabolik e Eva»

«I miei primi 50 anni insieme a Diabolik e Eva»

«I soggetti contano, il personaggio pure, ma in un fumetto il disegno è quasi tutto; e se dovessi dare una spiegazione sul perchè del successo dei 50 anni di Diabolik, sono certo che un po' di merito ce l'ho anch'io». Enzo Facciolo, milanese, 80 anni, trascorre la villeggiatura in Spagna in compagnia dei nipotini, ma non ha niente a che vedere con il classico nonno che meriggia in poltrona. Con sè, come sempre e ovunque, porta matite, pennarelli e cartoncini per dare forma alle future nuove storie del Re del terrore. «Sembra incredibile dopo mezzo secolo, eppure le sue avventure con l'inseparabile Eva Kant e l'acerrimo nemico Ginko continuano a riservare sorprese». Merito, s'intende, anche di tutti i racconti che arrivano alla casa editrice Astorina e che vengono selezionati dagli editor per poi essere sceneggiati e infine disegnati da Facciolo. «Ovviamente non sono da solo e ad affiancarmi ci sono validi collaboratori che ben conoscono lo “stile Diabolik“, ma tra i dodici numeri annuali cinque nascono esclusivamente dalla mia matita» dice Facciolo che dello “stile Diabolik“ vanta l'assoluta paternità. «Le maschere, la tuta nera come una seconda pelle, il realismo nella rappresentazione e il fascino dei protagonisti hanno creato un'icona che continua a far breccia anche nelle nuove generazioni. Poco tempo fa mi telefonò un bambino di sette anni che mi chiese se poteva parlare con Diabolik...». Altro che computer e videogames, inchiostro e carta, almeno nel cuore e nella fantasia degli appassionati del fumetto d'autore, resistono alla sfida eccome. E Diabolik, in barba alla crisi, vende ancora 80mila copie. «Ovviamente rispetto agli anni Sessanta, quando disegnavo in una stanza attigua a quella delle sorelle Giussani, le ideatrici del fumetto, anche il mio stile si è evoluto. A quell'epoca lasciavo il baloon vuoto per le letteriste che scrivevano i fumetti a mano, e poi finivo di inchiostrare. Poi arrivarono i retini per le ombre e per i grigi, memtre oggi toni e lettering sono fatti a computer». Già, le sorelle Giussani. Furono loro, le pasionarie del giallo, a ingaggiare nel '62 l'appena trentenne Facciolo che era in cerca di lavoro. Diabolik era appena al decimo numero ma stava già riscuotendo un successo insperato. «Luciana Giussani, che aveva inventato il personaggio ispirata da un fouilletton di Phantomas, aveva scarsa esperienza fumettistica e in redazione i disegnatori faticavano a tenere il passo con gli episodi». Lui, invece, si era già fatto le ossa disegnando cartoni animati per la Pagot Film, lavoro che richiedeva precisione di tratto e rapidità di realizzazione. Iniziò a collaborare all'episodio de L'impiccato. «A presentarci fu un amico comune e fu certamente un incontro fortunato, anche perchè con le Giussani si instaurò un rapporto eccellente sia a livello professionale che umano. Sul personaggio Diabolik avevano le idee piuttosto chiare: lo volevano con i tratti somatici molto somiglianti a quelli dell'attore hollywoodiano Robert Taylor. Io ovviamente ho esasperato lo sguardo disegnando occhi dal taglio... diabolico. Il mio stile veristico ha fatto il resto».
Furono anni di lavoro intensissimo ma di grandi soddisfazioni, anche perchè il fumetto - a cui le Giussani avevano voluto dare lo stesso formato del giallo Mondadori - raggiunse picchi di vendita di 350mila copie. «Spesso si arrivava a disegnare l'episodio quasi in contemporanea con le sceneggiature, lavorando fino a sedici ore al giorno. Il bello era che nessuno, nemmeno le Giussani, riusciva a capire quali potessero essere i motivi del successo del personaggio, e allora c'era il terrore di modificare qualsiasi dettaglio, nell'eventualità che proprio quello ne avesse il merito... E cosi avevo il compito di uniformare sempre lo stile dei miei disegni».
Facciolo restò nella «famiglia» fino al '79 quando decise che era tempo di cambiare rotta e darsi alla grafica pubblicitaria, che negli Stati Uniti attraversava un grande boom. Lavorò con alcune tra le più importanti agenzie fino al '98 quando decise che era giunto il momento di «tornare a casa», cioè alla casa editrice Astorina dove riprese in mano le matite per l'episodio La luce del male. Non se andrà più. «Non lo dico per immodestia, ma so che al pubblico piace Diabolik soprattutto come lo disegno io, me ne accorgo da come i lettori mi accolgono alle mostre». Ma ancora adesso, dopo 50 anni, il vero segreto del successo del Re del terrore non è chiarissimo neppure a lui.

«La mia idea è che ad intrigare il pubblico sia l'ambiguità di un personaggio che ha due volti, uno pubblico integerrimo e un altro oscuro e demoniaco. la solita dicotomia tra bene e male, dottor Jeckill e Mister Hide. Anch'io, se potessi andare in giro con un'altra faccia chissà quante ne combinerei...».

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