La tuta in stile Guantánamo. Un cappuccio nero in testa e “da adesso siete nelle nostre mani”. Veniamo sballottati al buio col rumore del mare in sottofondo. Siamo profughi, sono un profugo. Navighiamo (per finta) per raggiungere le frontiere di una fantomatica Federazione Europa. Mi chiamo Arim, o almeno questo è il ruolo che mi è stato assegnato in questa assurda “live experience” in cui si gioca a fare il migrante.
Siamo al centro sociale all'ex macello a Sud di Milano, occupato dal collettivo Macao e trasformato per un giorno in una finta frontiera occidentale. È sabato pomeriggio, quattro giorni fa. Il biglietto per il confine costa 15 euro (senza ricevuta, ovviamente) e permette di partecipare al gioco di ruolo dal vivo «sulla migrazione» ideato per Macao da Pugni, Chaos League e Campo Teatrale La Fabbrica. «In un futuro distopico, un gruppo di profughi sbarca alla frontiera e deve affrontare la spietata selezione per entrare a far parte di un mondo migliore», diceva lo spot promozionale della giornata.
E in effetti è così. A ogni giocatore viene assegnato un personaggio. Arim è un «piccolo poeta» gay in fuga dal suo Paese perché discriminato. Con lui un religioso che prega chissà quale Dio, una donna disposta a tutto pur di entrare in Occidente e un'altra ventina di storie. La frontiera dell'Europa è un enorme stanzone che dovrebbe rappresentare un centro di prima identificazione (guarda il video). Militari con esagerate maschere antigas e armi in pugno dividono il carico di carne umana appena «sbarcato». Sembrano soldati delle SS naziste più che poliziotti (i quali, se li vedessero, potrebbero pure offendersi). Al centro della stanza campeggia una bandiera dell'Europa con lo sfondo nero e le dodici stelle bianche (manco l'Ue fosse un immenso lager). Per ottenere il pass occorre sottoporsi a quattro passaggi: la visita medica, il colloquio, un questionario, il fotosegnalamento e le impronte digitali. «Cazzo fai qui in piedi?», urla una guardia armata di rivoltella. «Fila nell'archivio». L'archivio è una stanza buia piena di cartacce buttate in terra. «Questo voleva fare il furbo», ghigna il soldato sbattendomi a terra. «Ora ordina quei fogli in ordine cronologico».
Non c'è un filo di luce, se non quello che rimbalza dai filmati proiettati sul muro. Sullo schermo passano Barbara D'Urso, Minniti, Ciao Darwin, il calcio e i leghisti che urlano «chi non salta un migrante è». Credo il messaggio sia: l'Occidente si occupa di idiozie invece delle disgrazie dei profughi. Eppure Ciao Darwin, la D'Urso e il calcio fanno parte del nostro mondo e non bisogna per forza vergognarsene. Ma tant'è. In fondo i meno fortunati non vengono portati nell'archivio, ma nella «sala rossa»: una sorta di stanza delle torture con luci rosse, musica alta e catene per legare gli immigrati alla sedia e interrogarli (ma dov'è che accadono queste cose in Europa?).
Solo alla fine arriva l'agognato colloquio con la commissione per le richieste d'asilo. «Chi siete?», chiede un finto burocrate senza compassione. «Io sono Arim e sono omosessuale. Voglio entrare», replico provando a stare al gioco. «E perché tu e non lui?», ribatte il notabile indicando il mio vicino. «Perché se torno indietro mi uccidono. Di lui poco m'interessa». Responso finale: ammesso e benvenuto in Europa.
A somme fatte il «videogame vivente» risulta caotico, poco coinvolgente e di certo estremamente esagerato: l'Occidente non è un enorme lager per migranti e le sue frontiere non son tutte sigillate col filo spinato.
Certo, come scritto nell'annuncio «la trama è liberamente ispirata alle distopie Orwelliane nelle loro declinazioni più moderne» e l'esagerazione fa dunque parte del gioco. Ma le politiche migratorie, il controllo dei flussi e la gestione dei confini sono una cosa seria. Non un passatempo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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