«Da Krapp a senza parole» in quattro atti unici

«Da Krapp a senza parole» in quattro atti unici

Con i suoi ottantadue anni splendidamente portati (la sua chioma bianca è persino più azzimata di quella dell'ultimo Strehler), Glauco Mauri è molto più che il decano della scena italiana: è una figura di congiunzione tra i formidabili anni cinquanta e sessanta, quando gli attori passavano direttamente dal palcoscenico alla televisione per recitare in sceneggiati dei quali le nostre odierne fiction sono spesso involontarie parodie, e questi ultimi due decenni in cui il teatro si è immesso in un cono d'ombra mediatico che ne ha prosciugato il pubblico, ma che forse ne ha preservato una qualità di fondo. Nel 1961 Mauri è stato il primo interprete italiano di «L'ultimo nastro di Krapp», uno dei testi più significativi della drammaturgia di Samuel Beckett. A più di cinquant'anni di distanza, ecco che un frammento di quella rappresentazione (diretta da Franco Enriquez per la Compagnia dei Quattro) rivive in «Da Knapp a senza parole», lo spettacolo in cartellone al Carcano fino a domani. Quattro atti unici beckettiani (oltre a Krapp, «Respiro», «Improvviso dell'Ohio» e «Atto senza parole» preceduti da un "Prologo"), alcuni dei quali si sono visti molto di rado, nella versione della compagnia Mauri-Sturno si trasformano in un gioco di delicati rimandi al passato, al dolore del tempo che passa senza che si colga il senso di questo transito, alla solitudine come condizione inesorabile dell'esistenza. Una recitazione pulita, che sfiora il silenzio e si esprime per accenni e trasalimenti, caratterizza la bella performance di Roberto Sturno, che da più di trent'anni fa coppia con Mauri. Quella dello stesso Mauri è invece una interpretazione che alterna dosi di follia e tenerezza, comicità e straziante percezione del crepuscolo.

L'apice dello spettacolo è tutto nel momento in cui il grande attore, con ironia ed eleganza, cita se stesso facendoci ascoltare il nastro registrato da un formidabile Krapp di cinquant'anni fa: la testimonianza di un passato che, nonostante la lezione di Beckett, è passato ma ha saputo trasmettere al presente il suo senso.

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