È dicembre 1989 e Milano si prepara al Natale. Ha un bel da fare nel tenere a bada i cacciatori di doni anche Adriana Levi, proprietaria di un'esclusiva bottega di antiquariato al numero 69 di corso Magenta. Adriana è una di quelle signore della Milano bene: colta, elegante, ricca, con un fascino d'altri tempi. Ha 66 anni e una tempra d'acciaio, forgiata nei campi di concentramento, sopravvissuta a tutto: la deportazione e la morte di due mariti. Non la spaventano neppure due rapinatori armati di coltello che l'11 novembre entrano nel suo appartamento, facendo scattare l'allarme che Adriana non dimentica mai di inserire.
Quando i suoi amici, preoccupati, le fanno notare che entrare al piano terra sul cortile interno dello stesso stabile in cui si trova il suo negozio è stato un gioco da ragazzi per delinquenti che potrebbero ripetersi, lei fa spallucce. Sporge denuncia, ma dalle foto segnaletiche non riconosce i volti degli uomini che ha sorpreso in casa e che, prima di fuggire, le hanno giurato di tornare. L'appartamento di Adriana assomiglia a un curioso bazar, eccentrico come la padrona di casa, ricca di oggetti insoliti e antichi come quelli in vetrina al «Cenacolo», la sua bottega d'antiquariato al 69 di corso Magenta. Chi entra nell'alloggio si trova davanti un maestoso cavallo di legno a grandezza naturale.
La sera di quel 19 dicembre entrano in sei; tre donne e tre uomini che Adriana ha invitato per una cena di auguri anticipata, poiché trascorrerà il Natale con la figlia e i nipotini. Tra gli ospiti c'è Romano, 35 anni, primo flauto alla Scala, conosciuto a teatro un anno prima e divenuto amico fidato e inseparabile. Nessun coinvolgimento sentimentale, l'uomo ha moglie e figli, piuttosto un pupillo di Adriana, che sogna per lui un futuro da concertista. Alla cena è presente anche un discografico a cui l'antiquaria riesce a strappare la promessa di un provino per Romano, che ricambia la generosità della donna, accompagnandola nelle occasioni mondane o a fare compere. Alle 2.30 gli ospiti se ne vanno Con Adriana rimane il musicista, è lei a chiedergli di trattenersi ancora un po' perché vuole consegnargli il regalo di Natale. Alle 3.21 l'allarme di casa Levi scatta d'un tratto spaventando tutti, ma una manciata di minuti più tardi, quando arriva la polizia, tutto tace.
I due agenti pensano a un falso allarme, le saracinesche del «Cenacolo» sono abbassate e non forzate, l'imponente portone è chiuso, tutto appare perfettamente in ordine. I due, prima di far ritorno in centrale, provano a citofonare a casa Levi. Nessuna risposta. Decidono di non insistere, per loro è tutto a posto. L'indomani, alle 8.15, le saracinesche del negozio sono ancora chiuse e ciò insospettisce Antonio, il più stretto collaboratore di Adriana, perché la Levi in tanti anni non ha mai tardato. Si preoccupa suona alla porta della signora Pierina, che abita al piano di sopra e fa le pulizie in casa di Adriana. Anche Pierina si mette in allarme e con il duplicato delle chiavi entra in quella sorta di museo presidiato dal maestoso cavallo di legno, muto testimone del delitto.
Nel corridoio, riverso in una pozza di sangue, davanti alla porta della camera da letto, il corpo senza vita di Adriana. Il volto è sfigurato da un colpo vibrato con straordinaria forza, da farle saltare un dente. La camicia da notte azzurra è insanguinata. Almeno dieci le coltellate che il medico legale rileverà tra collo e torace, ma nessuna mortale. A ucciderla è stata quella tremenda botta in pieno viso, inflitta forse con un candelabro che manca all'appello ma sarà poi ritrovato in negozio. Sulla scena del crimine giungono i poliziotti della Mobile con il magistrato di turno, un giovane Antonio Di Pietro. Li raggiunge anche la figlia della vittima, Stefanina, nel frattempo avvertita della disgrazia. Aiuta gli inquirenti a stabilire con precisione che cosa eventualmente manchi. L'assassino (o gli assassini) si è portato via una ventina di milioni in contanti oltre ad alcuni gioielli, collane, bracciali, orecchini ed anelli.
Una rapina finita male? Erano tornati i ladri che un mese prima l'avevano minacciata? Un'ipotesi, ma qualcosa non torna. La casa è ricca di pezzi d'antiquariato che valgono assai più del bottino. Sembra piuttosto una rapina inscenata per depistare le indagini, secondo gli inquirenti dopo un consulto con i tecnici che hanno installato l'antifurto in casa Levi: uno perimetrale e un secondo a raggi infrarossi che suddivide l'appartamento in quattro quadranti. Quest'ultimo risulta ancora inserito anche nel quadrante in cui è compresa la zona notte. Strano. Prima di andare a dormire, Adriana si premura sempre di disattivarlo per accedere alla sua stanza senza il rischio di farlo scattare. I punti luminosi sul pannello di controllo rivelano passaggi in tre quadranti su quattro, a non essere stato attraversato però è proprio quello in cui si è consumato il delitto, dove l'assassino ha trovato i contanti e i gioielli.
L'ipotesi dei tecnici è che il killer abbia inserito l'antifurto dopo aver ucciso la vittima e trafugato il bottino e abbia volutamente fatto scattare l'allarme attraversando i raggi infrarossi per lasciare le tracce del proprio passaggio in ogni quadrante, dimenticandosi quello della zona notte. Quindi reinserisce l'antifurto e fugge dalla porta-finestra della camera degli ospiti, affacciata sul giardino interno al quale si accede agevolmente scavalcando il muro di cinta di via Zenale. Per gli inquirenti l'assassino conosceva il funzionamento dell'antifurto e i sospetti cadono su Romano, l'ultimo a lasciare la casa di Adriana e ad averla vista viva. Il musicista dichiara di essere uscito qualche minuto dopo gli altri ospiti e sua moglie conferma di averlo trovato in casa davanti alla tv alle 2.45, quando si era svegliata per andare in bagno.
Pare che la Levi gli avesse promesso di intestargli un appartamento in Svizzera, ragione che alimenta altri sospetti, ma a suo carico non ci sono riscontri. I punti oscuri rimangono tanti, troppi: a cominciare dall'arma che non verrà mai ritrovata. Come l'assassino.
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