Enrico Lagattolla
Un contratto da un milione di euro, un anticipo pari a un terzo e una collaborazione giudicata «di basso profilo». Quale fu realmente il ruolo dell'architetto Renato Sarno nel progetto di riqualificazione dell'area Vulcano, sui terreni ex Falck di Sesto San Giovanni? Secondo l'accusa, Sarno era semplicemente l'uomo delle tangenti, inclusi quei 300mila euro chiesti al costruttore Edoardo Caltagirone. Per il suo legale, l'avvocato Giovanni Briola, la consulenza svolta dal professionista finito in carcere due giorni fa è stata «effettiva e congrua». Ma nelle carte del Comune di Sesto si scopre che il progetto originario - cioè quello presentato inizialmente dall'architetto Paolo Portoghesi, incaricato dalla Caltagirone spa di seguire la pratica - era praticamente lo stesso che venne presentato dopo il ben retribuito ingresso in scena di Sarno. Come sono andate realmente le cose?
L'avvocato Giovanni Briola, difensore dell'arrestato, sostiene che nei computer sequestrati dalla Finanza è documentata una imponente attività professionale, tale da giustificare ampiamente la pur robusta parcella: «7.420 ore di lavoro, sette professionisti, 2.275 file, 30 riunioni e 199 mail inviate». Ma di tutto questo, confrontando i progetti, non c'è praticamente traccia. A parte qualche variante viabilistica, il progetto è il medesimo che Caltagirone aveva presentato con la firma di Portoghesi.
D'altronde, come scrive il gip Anna Mangelli nel mandato di cattura per Sarno, «nei rapporti con l'amministrazione comunale, Sarno risulta aver presenziato per conto del consorzio Vulcano» a tre soli incontri «e non anche alle successive numerose riunioni». Il riferimento è alle sedute del 23 e 29 settembre 2009, dell'11, 18 e 29 ottobre successivi e del 4 novembre dello stesso anno. È il periodo durante il quale la Caltagirone spa deve ridiscutere il progetto, pochi mesi prima ritenuto «non allineato con gli orientamenti comunali».
Sarno, insomma, doveva essere l'asso nella manica di Caltagirone per sbloccare il gigantesco business del Vulcano: fermo da anni e anni dopo essere passato per le mani di diversi progettisti, dallo studio Gregotti a Fegiz a Portoghesi. Oltretutto Caltagirone a Sesto deve ottenere che il Comune non si impunti su un dettaglio imbarazzante, quello dell'area del cosiddetto «dacappaggio», vicina al «Vulcano» dove si era impegnato in cambio di una licenza edilizia a costruire case popolari e campi sportivi che non si sono mai visti. Ma un modo per sbloccare tutto c'è: Marco Bertoli, direttore generale del municipio sestese, nominato da Penati ma confermato dal suo successore Giorgio Oldrini, lancia il messaggio: date l'incarico a Sarno.
Il 15 marzo 2009 l'uomo indicato dalla Procura di Monza come il «collettore delle tangenti per i politici del centro sinistra» riesce a far sottoscrivere al gruppo Caltagirone due contratti che prevedono un corrispettivo forfettario pari a un milione di euro, 300mila dei quali versati sull'unghia a titolo di anticipo attraverso quattro fatture intestate ad altrettante società a responsabilità limitata appartenenti al consorzio Vulcano. Un «compenso esorbitante», sottolinea il gip, dietro cui si nasconderebbe una mazzetta destinata almeno in parte alla politica. Anche perché il progetto rimase lo stesso: tanto che l'okay del Comune non è mai arrivato.
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