«Incoraggiare uomini che si ritengono adatti» a diventare diacono permanente, scrive l'arcivescovo Mario Delpini in una lettera alla Diocesi. E cioè «una persona adulta che ha già definito il suo stato di vita, nel matrimonio o nella scelta di vita celibe, ma nel suo modo di essere sposato o celibe rivela i segni di una vocazione a uno specifico servizio ecclesiale inserendosi nel clero». Ovvero: «Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa», come ha detto loro Papa Francesco il 25 marzo scorso in Duomo e ricorda Delpini.
Che cosa fa un diacono permanente? Spiegano loro di se stessi chi sono. Non sono sacerdoti perché non presiedono l'Eucaristia e non assolvono i peccati. Nella gran parte dei casi sono sposati e svolgono una professione. Però il diacono permanente non è un «semplice laico»: riceve il sacramento dell'Ordine, che lo immette tra i membri del clero, ha una veste liturgica, un posto sull'altare, il compito di proclamare il Vangelo e di tenere l'omelia, l'obbligo di celebrare la liturgia delle ore a nome della Chiesa, può celebrare la liturgia del battesimo, benedire le nozze, accompagnare alla sepoltura i defunti. Saranno cinque i diaconi permanenti ordinati dall'arcivescovo sabato 4 novembre, solennità di San Carlo Borromeo, nel Pontificale in Duomo delle 9.30.
Sono Maurizio Giuseppe Bianchi, sposato con tre figli, di Milano; Davide Canepa, sposato con quattro figli, che vive a Merate (Lecco); Tullio Maria Gaggioli, sposato con tre figli, di Busto Arsizio (Varese); Stefano Pozzati, di Nerviano, sposato con due figli; Alessandro Volpi, di Milano, sposato con due figli. La formazione è stata seguita dalle mogli e anche dai figli, di età compresa tra gli undici e i ventotto anni.SCot
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