«Solo quando è finito tutto - quando sono uscito dal turbine dell'ospedale, della rianimazione, del trapianto, delle cure, dei controlli giornalieri, degli innumerevoli divieti e delle mille precauzioni - solo allora ci ho pensato: mia madre mi ha dato la vita due volte. La prima quando mi ha messo al mondo. La seconda quando, malata di tumore al cervello e incinta del secondo figlio, mio fratello, ha preferito non curarsi e lasciarsi morire, pur di portare avanti la gravidanza. Diciotto anni dopo, è stata la donazione del midollo di Federico, compatibile con me al cento per cento, a salvarmi».
Probabilmente Filippo Todisco è stato il malato più stravagante mai visto in un ospedale. Uno che dopo tre sedute di chemio al giorno, anziché avere la nausea aveva un appetito da lupo, metteva musica a palla in corsia e, dopo aver indossato i jeans strappati e i foulard coi teschi, parlava di moda (la sua passione) con gli specializzandi del reparto di ematologia. Per i medici era un caso fuori dal comune: troppo allegro e spensierato per un tipo nelle sue condizioni. Qualcosa, però, bisogna pur inventarsi quando a nemmeno 18 anni da un giorno all'altro si finisce in coma, quindi si sopravvive miracolosamente a un'emorragia cerebrale devastante e infine ci si accorge di essere affetti da una delle forme più gravi di leucemia, l'aplasia midollare severa: pochissimi casi, pochissima sperimentazione clinica, ridotte possibilità di guarire e, nei casi migliori, una monitorizzazione medica fino alla fine dei propri giorni.
Ora la filosofia di Filippo, che ce l'ha fatta e sta scrivendo un libro sulle sue vicende («Diario leucemico»), è scarna ma efficace: «Se hai affrontato il coma senza speranze, tutto il resto è fuffa» sorride questo ragazzo che il primo agosto 2012 al San Gerardo di Monza si è sottoposto a un trapianto di midollo durato sei ore e riuscito in pieno.
E che adesso, a vent'anni, ha ripreso a frequentare il liceo scientifico a Meda e vive un'esistenza quasi normale, supportata da una buona dose di cinismo e autocompiacimento, con i genitori e due fratelli a Paderno Dugnano. «Sì, mi piaccio molto e credo di poter fare grandi cose - dice -. Un miracolato? No, sono solo una persona che ha lottato per tirare avanti. Non si sa molto di questa malattia. Tra i medicinali che dovrò continuare a prendere, la stanchezza cronica che mi affligge e alcune menomazioni (il campo visivo dell'occhio sinistro non è completamente a fuoco, ndr), la mia esistenza è cambiata per sempre. Mi hanno aiutato l'incoscienza, una serie di fortunati eventi, un'équipe medica eccezionale. E, naturalmente, quella scelta che mia madre Cristina fece tanti anni fa: avere Federico, mio fratello. Preferire alla sua la vita di quel bambino tanto desiderato e che portava in grembo da appena tre mesi».
Filippo si ammala nel gennaio 2011. Febbre altissima, sensibile perdita di peso (8 chili in una settimana), il corpo pieno di lividi, sistema immunitario azzerato, valori bassissime delle piastrine. I medici vacillano. Mononucleosi acuta? Hiv? Leucemia? Papà Luciano e mamma Marina (la seconda moglie), 47 e 45 anni, sono disperati. Poi, al San Gerardo, la diagnosi definitiva: aplasia midollare severa. I dottori sono chiari: «È rarissima, abbiamo tentato di curare un solo caso, senza risultato. Non hai difetti genetici, non siamo in grado di sapere perché ti sia capitato. Mentre ti sottoponiamo a una terapia per il midollo osseo, possiamo vedere se tuo fratello è compatibile con te per un trapianto».
Per Filippo cominciano trasfusioni di sangue a raffica, ma lui è spensierato. Poi, quando le analisi stabiliscono che il midollo di Federico, il fratello di due anni più giovane, è compatibile con il suo al 100%, la speranza riesce finalmente a farsi largo tra lo sgomento della famiglia. Il ritorno a casa, a maggio, per Filippo è tra mille precauzioni. «Avevo sempre la mascherina, non potevo incontrare nessuno per paura di ammalarmi, in quel periodo Facebook è stata la mia salvezza». Le cautele, però, sono inutili: il 23 giugno il ragazzo ha una nuova ricaduta. «Un'emorragia cerebrale violentissima: mi davano per spacciato anche dopo un'operazione alla testa durata 10 ore. Quando mi svegliai, del tutto inaspettatamente, il 17 luglio, mi presi una polmonite. Per recuperare il tempo perso con le cure contro la leucemia hanno cominciato a sottopormi a tre sedute al giorno di chemioterapia che avrebbero stroncato un cavallo. Anche stavolta spiazzai tutti: la chemio per me si rivelò una droga: subito dopo andavo in fame chimica e diventavo euforico!».
Il primo agosto dell'anno scorso scatta l'ora x: è il giorno del trapianto. Federico, 18 anni, ha una paura matta, ma non donare il midollo al fratello è una possibilità che non è mai stata nemmeno contemplata.
«Sono rimasto coricato per sei ore mentre mi iniettavano il sangue densissimo e carico di cellule staminali di mio fratello - racconta Filippo -. Svegliatosi dall'anestesia Federico mi è venuto a trovare, abbiamo parlato del più e del meno. Beh, sì, forse è vero: non l'ho mai sentito così vicino».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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