Sono passati in un lampo... Sembra ieri e invece sono cinquant'anni che i Jethro Tull di Ian Anderson, il pifferaio magico, viaggiano ad alta quota nei cieli del rock. Partiti dal blues e dal folk hanno unito generi e stili filtrando hard rock e persino il progressive. Chi non ricorda Aqualung o Thick As a Brick o brani come My God, Too Old To Rock and Roll Too Young to Duie, senza dimenticare una classica Bourée rubata nientedimeno che a Bach? I Jethro Tull cambiano formazione ma l'importante è che alla guida ci sia lo stregone Ian Anderson con il suo flauto... Se la sua voce si è arrochita e indebolita notevolmente, il suo flauto virtuosistico e virtuoso è ancora in grado di regalare brividi ed emozioni, quegli stessi brividi ed emozioni che il pubblico andrà a cercare stasera nel loro concerto all'Ippodromo di San Siro. (Per i neofiti o per gli appassionati incalliti in questa occasione è uscito l'album triplo 50 For 50 e la singola antologia 50 Anniversary Collection).
Un'altra volta si compie il rito: in equilibrio su una gamba sola scatenato suonando il flauto.
«È il mio marchio di fabbrica da sempre e il pubblico se lo aspetta. Il tempo passa, faccio un po' di fatica ma non deluderei mai i miei fan. Mi piace fare spettacolo e mi piace definirmi il fauno del rock. Non per niente amo le favole celtiche e la mitologia».
Non la stancano le continue tournée?
«La musica non stanca mai, come il sesso, perché ci metti trasporto e ti dà molta carica».
Quando incide Too old For Rock and Roll Too Young To Die molti pensarono al suo ritiro?
«Non ho mai pensato di ritirarmi, la musica è la mia vita. Ma anche quella canzone è diventata un mio marchio di fabbrica».
Cosa pensa dell'Italia?
«C'è un pubblico molto caldo e competente, ci sono dei paesaggi splendidi e si mangia molto bene».
Cosa pensa della musica di oggi?
«Il rock oramai è una musica per adulti. I ragazzi ascoltano il pop, seguono Ed Sheeran e Taylor Swift; il rock è cresciuto con i ragazzi di una volta, quelli che avevano gli ideali».
Nostalgia?
«Realismo. Non dico che la musica possa cambiare il mondo, ma è il mondo che cambia la musica. Il blues è nato dalla schiavitù, il rock and roll è nato dopo la II guerra mondiale, il rock si è esaltato durante la guerra del Vietnam. Negli anni '60 c'è stata una grande spinta rivoluzionaria. In Inghilterra si è puntato più sulla libertà individuale, in Italia sulla politica».
Come mai ha portato il flauto nel rock?
«Io vengo dalla scuola d'arte e sono stato a contatto con tante culture e discipline differenti. L'ho studiato da ragazzo. Suonavo anche la chitarra ma poi ho sentito i blues di Robert Johnson e subito dopo Eric Clapton, così ho capito che con la sei corde non sarei mai stato il numero uno. Con il flauto ho fatto la mia piccola rivoluzione. Comunque in concerto suono anche la chitarra acustica».
Chi sono gli artisti che più l'hanno influenzata?
«Per non farmi influenzare cerco di ascoltare meno musica possibile. Comunque direi Robert Johnson, Bach e Ives, ma il mio autore preferito, quello che amo ascoltare è Beethoven».
Però nel suo repertorio classico ha incorporato una Bourée di Bach.
«Ho sempre ascoltato anche Bach, ma quella in particolare l'ho ripresa perché il mio vicino di casa la suonava alla chitarra. io l'ho reinventata per flauto, basso e batteria».
L'antologia è la summa della carriera dei Jethro Tull.
«Sì, ma per me avrebbe dovuto contenere 100 pezzi e tutto Thick As a Brick».
Progetti?
«Due dischi, uno rock e uno per solo flauto».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.