Dettagli, squarci su cose, persone e fatti, ma anche giudizi rapidi, taglienti e sintetici. Mario Luzzatto Fegiz, il critico musicale più famoso d'Italia, con «Io odio i Talent Show» in scena al teatro Verdi fino a domenica), ha finalmente deciso di vuotare il sacco. Un folle viaggio fra canzoni celebri - interpretate dal «one man band» Roberto Santoro e con interventi dal vivo del fisarmonicista ucraino Denissenkov - e divertenti imitazioni che Fegiz fa dei personaggi incontrati nel corso della sua autorevole carriera. Da non perdere, per chi ama il dietro le quinte dei grandi eventi con quarant'anni di fatti e misfatti della musica leggera italiana. Dalla leggera all'opera musicale con il ritorno di «Notre Dame de Paris», a Milano per la settima volta e per la terza ospite fino a domenica al Teatro degli Arcimboldi, a dieci anni esatti dal debutto della versione italiana a Roma. L'opera musicale tratta dall'omonimo romanzo di Victor Hugo, tradotta in quattro lingue dal francese, con la sua formula innovativa ha svecchiato la scena teatrale e musicale italiana battendo ogni record e diventando un grande classico (successo trionfale in Italia oltre 3.250.000 spettatori per 40 città), e si appresta ad un nuovo tour per festeggiare il suo decimo anniversario. Firmata da Riccardo Cocciante, Luc Plamondon e Pasquale Panella, lo spettacolo porta sul palco dodici nuove grandi voci di giovanissimi pieni di talento, pronte a regalare la magia e l'emozione dell'amore tragico e profondo di Quasimodo per la bella gitana Esmeralda.
Da un'opera divenuta ormai un classico al teatro d'impegno, con «Il Principe di Homburg» lo spettacolo di Heinrich von Kleist in scena al teatro Elfo Puccini. Dopo il fortunato debutto del 12 ottobre 2011 al Teatro Nuovo di Udine, nel duecentesimo anno della morte di Kleist, lo spettacolo con la traduzione e regia di Cesare Lievi e la drammaturgia di Peter Iden vede tra gli interpreti, tra gli altri, i bravi Lorenzo Gleijeses nei panni del Principe di Homburg, Ludovica Modugno nel ruolo della Principessa elettrice e Stefano Santospago, principe elettore del Brandeburgo. Cesare Lievi, regista di forte visionarietà e direttore artistico del teatro di Udine, ha ambientato lo spettacolo in uno spazio neoclassico sospeso e irreale, in cui dieci attori - sempre in scena - daranno vita, con la fluidità, la precisione e la vaghezza tipica dei sogni, a una vicenda fortemente drammatica e incalzante, in cui l'immaginazione (e l'inconscio che la determina) si presenta come forza fondamentale per decidere la vita, il suo senso e il suo destino. Dal conflitto, tra obbedienza agli ordini, amore e sogni di gloria, il giovane protagonista uscirà solo attraverso il sogno, secondo l'autore l'unica dimensione possibile che dà senso al divenire dell'esistenza umana.
Se i personaggi di Kleist si inscrivono nella Storia lasciando un'aura di dignità, non si può dire altrettanto di quelli di Goldoni che come da sua consuetudine tratteggia la condizione dell'uomo adagiato nella propria stoltezza e ottusità: ha debuttato in questi giorni al Piccolo, nella storica sala del teatro Grassi - testimone di tutte le possibili declinazioni sceniche del grande veneziano, da Strehler ai Gemelli veneziani (2001) di Ronconi, fino alla recente Trilogia di Toni Servillo (2007) - «I Rusteghi», lo spettacolo con la regia di Gabriele Vacis (al suo secondo Goldoni dopo quello del '93), che rilegge attualizzando il testo, allegoria del nostro presente, e delinea un Goldoni nero e femminista ante litteram, e facendolo interpretare da un cast interamente maschile.
In una scena spoglia si consuma una delle commedie più cupe del grande commediografo veneziano che con «I Rusteghi» racconta la storia di padri, tanto ricchi quanto gretti e ignoranti, che vorrebbero che i rispettivi figli si sposassero, ma senza conoscersi prima delle nozze. «Quello dei Rusteghi è un mondo fatto di legami fra maschi che esclude ogni scheggia di femminile».
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