Una notte alla stazione centrale di Milano

Viaggio tra le vie che circondano la stazione. Tra degrado e capannelli di uomini di colore impossibili da oltrepassare

Una notte alla stazione centrale di Milano

Il buio della notte rende ancora più bianca la facciata della Stazione centrale che dà su piazza Luigi di Savoia. La brezza delle quattro di mattina concede ai binari un po’ di refrigerio. Cosa succede qui di notte? Cosa accade in quella piazza, Duca d’Aosta, dove solamente qualche giorno fa un uomo di colore ha spaccato il volto a un tunisino? Sono pochi coloro che aspettano di entrare nella stazione da lì. La piazza, infatti, è presidiata da capannelli di uomini di origine africana. Parlano ad alta voce e animatamente. A volte sbraitano e si danno pacche che schiocchiano nell’aria. Molti ragazzi hanno una o due bottiglie di birra tra le mani. Per terra invece cocci è quello che resta delle vedute precedenti. Non c’è dunque da stupirsi se chi può passa alla larga da qui.

Sembra calma, la stazione. Un regno, a quest’ora ancora buio, che appare fatto di sonnambuli e flaneurs. Le luci del bar Motta sono accese e fanno una luce fioca che permette di vedere meglio ciò che accade lungo i muri. Un uomo si ferma e, come se niente fosse, urina davanti a tutti. Sul piazzale sono parcheggiate due Panda della polizia, un Ducato è una Giulietta. Ma gli uomini in divisa qui non si vedono. Saranno a pattugliare chissà dove.

Dagli alberi spunta quello che sembra un fantasma. È una figura nera e tozza, coperta di stracci bianchi. I capelli sono cortissimi. Impossibile comprendere se sia un uomo o una donna. Cammina in modo dinoccolato e in mano ha dei sacchetti di plastica, bianchi e sgonfi come palloncini che stanno perdendo aria. Il fantasma claudicante si allontana e sono due ragazze, sedute di spalle, ad attirare il nostro interesse. Sono giovani, forse giovanissime. Parlano una lingua straniera, forse il tedesco, e sembrano non voler guardare ciò che accade attorno a loro. Bisbigliano e guardano il muro. Ferme.

Un uomo, barba lunga e sottana, si aggira con una bottiglia, il cui contenuto versa ogni tanto sul perimetro della stazione. Appoggiato alla macchina c’è un ragazzo che, non appena vede passare qualcuno, sussurra qualche parola incomprensibile. Sembra stralunato, in un mondo tutto suo che è molto lontano dal nostro. Riprende il rito: il solito uomo che passa e urina poco distante da coloro che stanno attendendo l’apertura della stazione per prendere il treno.

Alle 4.20 le porte dell’edificio si aprono. Si abbandona il buio esterno e ci si dirige verso i binari. Un’altra notte è passata.

Chi, fuori dalla stazione, ha parlato e bevuto fino a poco fa, tra poco andrà a dormire sotto gli alberi di piazza Duca d’Aosta. Luce e ombre si confondono in questo mondo all’incontrario. Dove la gente, però, comincia ad avere paura.

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