Il primo Papa pellegrino nel mondo

Con lui iniziarono i viaggi della Santa Sede. Da arcivescovo aprì 100 nuove chiese

Il primo Papa pellegrino nel mondo

L'unica esperienza che Giovanni Battista Montini non riuscì mai a vivere fu quella di parroco. E per sempre la rimpianse. Forse è proprio questa la ragione che tenne quell'uomo buono, ma schivo e riservato, lontano dal cuore e dalle emozioni. Il destino che l'aveva fatto nascere il 26 settembre del 1897 a Concesio, un piccolo paese all'imbocco della val Trompia, aveva voluto che fosse battezzato il 30, lo stesso giorno in cui moriva di tisi suor Teresa di Lisieux. Per tutti santa Teresina. Canonizzata da Pio XI che avrebbe poi allevato nella cerchia della sua diplomazia quel giovane sacerdote bresciano. Bruciò le tappe e non se ne accorse nessuno. Forse, nemmeno lui.

Ordinato a 23 anni, si trasferì a Roma per completare gli studi alla Pontificia università gregoriana, ma non ebbe il tempo di entrarvi che la sua silenziosa discrezione di lombardo della provincia fu immediatamente apprezzata da un altro lombardo della provincia, Achille Ratti. Ovvero, il papa. Montini iniziò così a collaborare con la Segreteria di Stato e il Santo Padre, nell'affidargli un incarico alla Nunziatura apostolica, interruppe gli studi di quell'uomo pervicace al punto che - tornato dalla Polonia, dove aveva rappresentato il Vaticano - discusse tre tesi di laurea. Filosofia. Diritto canonico. Diritto civile. Era il 1924, secondo dell'era fascista.

Le difficoltà erano appena cominciate. E crescevano proporzionalmente con la stima del pontefice. Allo scoccare degli anni Trenta Montini fu inviato in Germania per diffondere l'enciclica Non abbiamo bisogno, con cui Pio XI condannava lo scioglimento delle associazioni cattoliche da parte della dittatura. La strada verso il baratro era spianata. E Montini collezionava responsabilità. Nel '37 era diventato sostituto alla Segreteria di Stato, guidata dal cardinal Eugenio Pacelli. L'intesa con lui era strettissima e ancor più salda divenne il 10 febbraio 1939 quando un attacco cardiaco si portò in cielo il Papa. Il conclave fu uno fra i più brevi della storia. Tre scrutini, un giorno di votazioni, presiedute proprio da Pacelli in qualità di camerlengo che festeggiò il 62esimo compleanno con l'elezione al soglio di Pietro.

Montini ne divenne il volto più fidato e il celebre radiomessaggio del 24 agosto - Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra - pronunciato dal Santo Padre per scongiurare lo scoppio del conflitto, fu soprattutto merito suo. L'appello restò inascoltato, come accadde già a Benedetto XV agli albori della Grande Guerra, quando invitò a evitare l'«inutile strage». Gli anni più delicati, dopo l'armistizio, posero Montini in una posizione strategica. Nel '44 moriva il segretario di Stato Luigi Maglione e - a subentrarvi - Pacelli scelse Domenico Tardini e Giovanbattista Montini che erano stati compagni di università alla Gregoriana.

Non fu un colpo di scena. La Chiesa sapeva di contare su due assi della diplomazia internazionale. La sorpresa venne nel 1954 quando morì l'arcivescovo di Milano di origini altoatesine Ildefonso Schuster, che protesse la città dai nazisti ed era molto amato. A succedergli, Pio XII designò proprio Montini e furono in molti a parlare di bocciatura in ossequio al principio non scritto promoveatur ut amoveatur. Quel prelato che non aveva mai fatto il parroco era costretto a sfidare se stesso. Lo attendeva una metropoli piegata dalla guerra e dalle sofferenze, una città da dove la fede sembrava fuggita. E dove il marxismo appariva l'unica svolta. Era la Milano delle fabbriche e di Cipputi. Di pugni che lentamente si alzavano, sulle ceneri di entusiasmi partigiani. Montini non era un estroverso e nemmeno un espansivo. Ma era un uomo. Ed era buono.

Dall'arcivescovado cittadino assistette alla morte dell'amico e mentore che l'aveva allontanato dal Vaticano e voleva nominarlo cardinale, ma non fece in tempo. Il conclave del '58 elesse fra molti tormenti un altro lombardo della provincia che conosceva Montini e lo stimava. Prima di diventare Giovanni XXIII, il bergamasco di Sotto il Monte Angelo Roncalli confessò ai familiari: «Mi manca soltanto il papato, ma andrà all'arcivescovo di Milano» e al suo segretario Loris Capovilla prima di entrare nella Sistina disse: «Se ci fosse stato Montini, non avrei esitato a votare lui». Invece. La prima mossa del Papa dopo aver invitato a «portare un bacio ai vostri bambini» fu quella di affidare la berretta cardinalizia al prelato che più ammirava. Lo stesso che cinque anni dopo avrebbe preso il suo posto.

Montini diventava pontefice il 21 giugno 1963 e avrebbe legato il suo nome a tutto ciò che prima di lui non c'era mai stato. Concluse i lavori del Concilio aperto da Giovanni XXIII. Fu il primo pontefice a leggere il contenuto del terzo segreto di Fatima, tramandato dalla pastorella. Fu un papa pellegrino. Il primo. Aprì in Palestina i suoi nove viaggi nel mondo. In Terrasanta incontrò il primate ortodosso Atenagora I aprendo il dialogo interreligioso. Visitò 15 città italiane. Prima di lui nessun papa prese l'aereo. Il 27 novembre 1970 a Manila, nelle Filippine, subì un attentato. Un pittore, armato di coltello, lo ferì al costato. A salvarlo fu la prontezza del suo segretario.

La via crucis di Paolo VI non era però all'ultima stazione. Nel '74, in punta di piedi, come suo costume, scrisse e telefonò a Francisco Franco. Chiedeva la grazia per Salvador Puig Antich, un anarchico ingiustamente condannato alla garrota per l'assassinio di un agente di polizia da lui mai commesso. Il dittatore fece rispondere che «il Generalisimo non può essere disturbato» e uccise quel giovane. Ma lo strumento di tortura e morte andò in pensione per sempre. E nel 2006 la vicenda sarebbe diventata un film.

La fine si lega a quella di uno dei più intimi amici che mai ebbe. Aldo Moro. Il sequestro e l'apprensione per la sua sorte piegò il Papa. Nell'aprile 1978, con una lettera diffusa su tutti i giornali, implorò la liberazione senza condizioni dello statista rapito «dagli uomini delle Brigate rosse». La risposta fu la Renault amaranto in via Caetani. E Montini non si riprese più. Il 13 maggio a San Giovanni in Laterano fu celebrato un rito di suffragio. Il Pontefice vi partecipò sorprendendo la classe politica che criticò la sua presenza. Lui non se ne curò. Anzi.

Pronunciò un'omelia ritenuta oggi tra le più alte della dottrina, ma quella morte era anche la sua. E il suo cuore ferito continuò a battere per pochi mesi. Ai primi di agosto salì al cielo. Oggi sarà nel più alto dei cieli.

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