È il 1996 e l'inverno a Milano è severo. Natale è vicino, vicinissimo, e le vetrine dei negozi sono addobbate a festa. Piove a dirotto anche la sera del 21 dicembre, quando Claudio Del Forno, 35 anni, procuratore legale, esce di casa in abiti eleganti, occhiali scuri e ombrello. Dov'è diretto? Al padre Luigi ha detto che avrebbe trascorso la serata in discoteca, se avesse trovato un amico disposto ad accompagnarlo. In discoteca, però, Claudio non ci andrà. Mai più. Sono le 21.35 quando un proiettile calibro 10,4 mm, un calibro di uso non comune, raggiunge Claudio al cuore in quel tratto di piazzale Accursio che fa angolo con viale Certosa e via Espinasse.
Claudio abita lì vicino e alla sua età vive ancora coi genitori perché alle spalle ha una storia sfortunata. A 10 anni viene investito da un'auto, le conseguenze di quell'impatto si riveleranno drammatiche negli anni a venire; picchia forte la testa, finisce in ospedale e ne esce con disturbi psichici che comprometteranno irrimediabilmente la sua capacità di relazionarsi con gli altri.
Litiga con tutti, il più delle volte senza ragione, finisce in ospedale nel '95 per un Trattamento Sanitario Obbligatorio e ci resta quattro mesi, ma non è guarito. Amici pochi, ragazze nessuna, a parte le prostitute di piazzale Accursio che importuna abitualmente. Non è mai riuscito a superare l'esame per diventare avvocato, lavorava saltuariamente presso lo studio Di Campli Finore, ma di lì lo avevano cacciato cinque mesi prima dopo l'ennesima intemperanza.
La sera di quel 21 dicembre un gruppetto di ragazzi, Matteo, Debora, Ambra, Bruno, Francesca e Marco, tra i 17 e i 24 anni, si ritrova come sempre in piazzale Accursio. Alle 21.35 quel colpo di pistola lo sentono tutti, ma pensano si tratti dell'esplosione di un petardo, dopotutto è Natale. Poco dopo, Debora richiama l'attenzione di Matteo, tirandolo per una spalla e quando si voltano scorgono, qualche metro più in là, un uomo in impermeabile, steso sull'asfalto bagnato.
L'impermeabile è macchiato di rosso; avvicinandosi i ragazzi si accorgono che si tratta di sangue, il Natale evidentemente c'entra poco. Insieme a loro un passante che porta a spasso il cane sotto la pioggia; si dileguerà di lì a poco e non verrà mai identificato, facendo perdere le tracce sotto l'acqua nel buio della notte.
Chi ha sparato? Chi altri si trovava in piazzale Accursio alle 21.35? Bruno, uno dei ragazzi che facevano capannello là, riferisce agli inquirenti di aver notato il passaggio di una Y10 blu metallizzata con una sola persona, intorno ai 25 anni, barba incolta, capelli lunghi fino alle spalle e berretto di lana in testa.
Anche un uomo che stava cenando in compagnia della moglie in un ristorante vicino, in via Tavazzano, racconta di un'auto a fari spenti che, dopo una sbandata, avrebbe urtato una Mercedes parcheggiata e sarebbe poi ripartita allontanandosi rapidamente. Il modello descritto dall'uomo, una Golf, non corrisponde però a quello indicato da Bruno. Dai testimoni presenti sulla scena del crimine i carabinieri non riescono a cavare granché, quindi cominciano a passare al setaccio la ristretta cerchia di amicizie della vittima.
Pippo, il pugile pregiudicato che Claudio aveva conosciuto sedici anni prima in occasione di uno stage di Scientology, la sera del 21 dicembre si trovava a Marsiglia, impegnato sul ring in un combattimento di Full Contact al termine del quale avrebbe riportato la frattura di un malleolo.
L'uomo del ristorante, ex carabiniere poi guardia giurata, possiede una pistola e mostra la sua Beretta d'ordinanza senza esitazione agli inquirenti, fornendo loro un alibi che sua moglie confermerà in toto: si sono recati, insieme, a casa del fratello, in via Piero della Francesca, poi hanno fatto ritorno a casa a Quarto Oggiaro e di lì non si sono più mossi. I sospetti ricadono su Corrado, perito elettrotecnico disoccupato, che per ultimo ha visto Claudio ancora in vita.
Quella sera, intorno alle 20.30, Claudio citofona a casa dei genitori di Corrado, che nel pomeriggio l'aveva cercato senza trovarlo. I due chiacchierano fino alle 21.30 poi Claudio se ne va, l'amico ha declinato il suo invito ad accompagnarlo in discoteca per via di un impegno precedentemente fissato con un certo Sandro, che lo attende in un bar a Ponte Lambro.
Un quarto d'ora dopo che Claudio ha lasciato il suo appartamento, esce anche Corrado e quando giunge in piazzale Accursio, vede polizia e ambulanza e intuisce che qualcosa di grave dev'essere accaduto. Si avvicina, vede l'amico in terra con l'impermeabile intriso di sangue e, in preda al panico, fugge di corsa verso casa. Racconta tutto ai genitori, è scosso, pallido, tremante. In questo stato lo troveranno i carabinieri ai quali, confuso, dichiarerà di essere un bravo ragazzo, quando gli domanderanno se abbia qualcosa da aggiungere alla sua deposizione.
Viene disposto ed eseguito lo stub su due giubbotti di Corrado: il tampone rivelerà la presenza di due particelle di piombo-antimonio, due di piombo-bario, una di antimonio, caratteristiche di un residuo da sparo, ma non univoche e pertanto insufficienti a provare con certezza che sia stato effettivamente lui a premere il grilletto. Le accuse a Corrado cadranno di lì a poco, anche perché dalle perquisizioni non salta fuori alcuna pistola. Ed è proprio sulla pistola che si concentrano le indagini, un modello raro, da collezione, fabbricato a Brescia tra la fine dell''800 e gli inizi del '900: una Glisenti Bodeo, quella di Dylan Dog.
Quanti saranno gli esemplari ancora in circolazione? Ne vengono censite 17 tra Milano, Nerviano, Bresso, Legnano, Sesto, Locate Triulzi, Gravedona e Uscio, in provincia di Genova. I carabinieri le sequestrano tutte ma da accurate analisi risulta che nessuna di esse ha incise le striature rinvenute sul quel proiettile calibro 10,4 mm che aveva attraversato il cuore di Claudio.
Deve esistere quindi una diciottesima Glisenti Bodeo, non registrata, che non si troverà mai. Come l'assassino di Claudio, ancora oggi, senza un nome, senza un volto. Dileguatosi nel nulla, sotto la pioggia di quella sera di dicembre.
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