Quel progetto di regalare le case popolari

Quel progetto di regalare le case popolari

I nuovi kulaki della piccola proprietà immobiliare. In principio fu Brunetta a sostenere che regalare agli inquilini le case pubbliche affittate sarebbe stato un risparmio per lo Stato. Proposta accantonata perché troppo radicale, eliminando quella funzione di garanzia per l'emergenza sociale che è pur sempre necessaria nel territorio. L'obiettivo principale dell'intervento pubblico è stato duplice: garantire al maggior numero possibile di italiani la proprietà della casa ed esercitare una funzione di calmiere sul libero mercato con l'edilizia convenzionata e sovvenzionata. Attraverso la ormai ex Gescal, finanziata con un prelievo fiscale sulle buste paga, gli Istituti case popolari ma anche i Comuni hanno dato vita a un patrimonio immobiliare di cui hanno beneficiato decine di migliaia di persone. Nei grandi centri urbani, anche per effetto del fenomeno migratorio, la gestione delle aler è andata fuori controllo. Al crollo delle entrate si è associato il fenomeno dell'insolvenza. Il tutto accompagnato da importanti acquisizioni che si sono rivelate fonti di perdita. Sono venute così a mancare le risorse necessarie alla ristrutturazione del patrimonio immobiliare, riducendo la disponibilità di alloggi da assegnare. Sono 20mila le domande di alloggio a Milano. Le difficoltà tra Comune e Aler sono uno degli aspetti periferici del problema, ma attribuire a MM la gestione delle case comunali non rimuove le cause del malessere. La questione è la mancanza di risorse e l'impossibilità di introdurre ulteriori prelievi fiscali. Situazione aggravata dal fatto che delle 65mila abitazioni di Aler e Comune, 4mila sono occupate abusivamente e 6.600 sono inagibili. Con le occupazioni in forte crescita.

Il Comune ha introdotto la possibilità di cedere alloggi da ristrutturare ad assegnatari che successivamente si rivalgono sui canoni. Una mossa intelligente, ma circoscritta. Bisogna affrontare con maggior determinazione il problema. Mantenere le cose come stanno porterà nel tempo a vendere la penultima casa per ristrutturare l'ultima, in una logica di inarrestabile ridimensionamento della proprietà pubblica. Intervenire con un progetto di ristrutturazione forte ridimensionerebbe nel breve periodo la proprietà pubblica, ma la risanerebbe in termini strutturali. Poiché non esistono nuove consistenti entrate (se così fosse non ci sarebbe bisogno di intervenire) occorre creare le condizioni per alienare subito un consistente numero di alloggi a beneficio degli inquilini legittimi e con fortissime agevolazioni. Certo occorrerebbero regole precise per evitare le furbizie, ma il progetto di dar vita a un ampliamento della piccola proprietà porterebbe benefici immediati. Per gli italiani la casa non è mai stata un semplice investimento ma una parte importante della propria vita da amministrare con cura. Trasformare in proprietari gli inquilini pubblici, darebbe loro responsabilità dirette, consentirebbe ristrutturazioni e risanamenti, aumenterebbe l'attenzione e la sicurezza dei caseggiati e dei quartieri. E soprattutto metterebbe il soggetto pubblico in condizione di gestire meglio il restante patrimonio, aumentando la capacità di interventi selettivi a favore delle fasce realmente più deboli. Quando nel 1921 il collasso dell'agricoltura sovietica portò alla fame il Paese furono i «kulaki», piccoli proprietari con persino qualche dipendente, a rendere meno tragica la situazione. Purtroppo finì male comunque.

In un contesto fortunatamente meno drammatico il rilancio della piccola proprietà immobiliare potrebbe portare un contributo alle enormi difficoltà nei grandi centri urbani. A patto che la pressione fiscale sulla casa venga ridimensionata e possa partire una politica del «mattone» che non è solo la costruzione di nuovi alloggi, per garantire la ripresa economica.

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