«Lui» è un ex poeta di successo che, giunto alla soglia della vecchiaia, abbandona la moglie, il figlio e gli agi di una vita borghese per richiudersi in una sorta di prigione dorata. Il «Ragazzo» è un ventenne sensuale e strafottente, la personificazione di un'idea di giovinezza irrequieta e intenta a cogliere l'attimo. In «Prima del silenzio», un testo scritto da Giuseppe Patroni Griffi nel 1977 e ora in scena al Franco Parenti sino al 2 febbraio con la regia di Fabio Grossi, Lui e il Ragazzo si confrontano e talvolta si scontrano, ma senza mai esagerare. A condurre il gioco è pur sempre il disilluso intellettuale (interpretato da Leo Gullotta) con il suo lussureggiante eloquio e con la sua ansia di sondare una crisi esistenziale che è, anzitutto, crisi della parola, della capacità di dire l'essenziale prima che la morte imponga il silenzio. Una percezione di radicale disorientamento di fronte alla realtà, un senso inafferrabile di crisi accomuna i tre più interessanti spettacoli che offre Milano durante questo fine settimana. Anche al centro di «Visita al padre», il testo di Roland Schimmelpfennig allestito da Carmelo Rifici al Piccolo Teatro Studio, ci sono un maturo letterato autorecluso nella casa della moglie, Heinrich, e un ventenne impulsivo e conturbante, Peter. Il confronto tra i due, legati da un rapporto di paternità mai davvero instaurato, culmina in un violento dissidio che coinvolge il gruppo di donne dal quale sono ambiguamente circondati. A differenza di Patroni Griffi, Schimmelpfennig (l'autore tedesco del momento) dà un nome ai suoi personaggi, ma non riesce del tutto a identificarli: i loro profili, a volte troppo stereotipati, rischiano di essere sommersi dal flusso delle citazioni letterarie e dalla vastità dei giudizi epocali che caratterizza il testo. Ma anche la sensazione di incompiutezza, di disorganicità che resta al termine della rappresentazione, sembra cogliere paradossalmente lo spirito dei tempi, o perlomeno esprimere un paradigma della drammaturgia degli ultimi decenni. A prima vista la situazione appare ben più nitida in «Italia Anni Dieci», lo spettacolo della compagnia Atir in cartellone al Teatro Ringhiera sino al 2 febbraio. Qui la parola crisi sembrerebbe declinarsi in termini economici e sociali: imprenditori sull'orlo della bancarotta e tentati dal suicidio, neolaureate disoccupate, badanti intraprendenti e casalinghe teledipendenti appartengono ormai a una quotidianità spicciola, ampiamente riproposta dal cinema italiano e dalle cosiddette fiction.
E invece la bravura di Edoardo Erba, che in collaborazione con Serena Sinigaglia ha dato forma al testo, sta nello scardinare i luoghi comuni, nell'azzerare vittimismi e fatalismi che abbondano in tempi di crisi. Il tutto con un tono da commedia acre e straordinariamente divertente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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