Ragazze rapite: anche Chinatown a caccia dei sequestratori

Resta molto perplessa la comunità di Chinatown davanti alla vicenda delle tre giovani donne cinesi attirate in un appartamento di via Console Marcello con il miraggio di un lavoro da due loro connazionali che poi le hanno rapite e segregate per chiedere un riscatto alle famiglie in patria. La storie di queste ragazze, costrette a saltare nude dalla finestra dello stabile dove erano tenute prigioniere per ritrovare la libertà, rivela uno spaccato drammatico e feudale che i cinesi residenti sotto la Madonnina (19mila dei quasi 200mila presenti in Italia, ndr) rifiutano. Rendendosi disponibili a dare una mano alla polizia
«Questa non è cronaca nera, è cronaca buia - si limita a sottolineare nel suo italiano perfetto Angelo Hu, 66 anni, già esponente di spicco della comunità cinese, pioniere di tante battaglie per i propri compatrioti a Milano e attualmente impegnato nell'integrazione -. Sono certo che all'interno della comunità cinese di Milano qualcuno si sarà già attivato per capire quel che è realmente successo. Questi sequestratori sono da considerarsi cani sciolti. La collaborazione con le forze dell'ordine è un dovere. E catturare dei delinquenti come questi è una priorità per tutti, soprattutto nostra».
Hu Xiao Bing, 48enne vicepresidente dell'associazione cinese di Milano e titolare di una nota pizzeria, ha le idee chiare. «Omertosi, no, non lo siamo - afferma - . Siamo poco espansivi, magari, ma se c'è da collaborare per risalire a questi sequestratori nessuno si tirerà indietro.

Credo che chi ha rapito queste donne per poi chiederne il riscatto le conoscesse se sapeva di poter chiedere addirittura 50mila euro alla famiglia per rilasciarle. In Cina ora denunciano tutti. E poiché è molto più facile di un tempo venire in Italia, nessuno paga più cifre astronomiche per farsi regolarizzare o in cambio di un posto di lavoro».

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