Gli emiri si comprano un pezzo di Milano, un intero quartiere, il più avanzato, fotografato e ammirato: Porta Nuova, con i suoi grattacieli, i suoi boschi verticali, la sua piazza, le sue fontane e i suoi giardini. Qia, il fondo sovrano del Qatar, già padrone del 40% del grandioso progetto immobiliare che in 10 anni ha radicalmente cambiato lo skyline di Milano, ora se l'è comprato tutto, rilevando le quote degli altri soci, Hines, il principale, e poi Unipol, il fondo pensioni Triaa Cri e la famiglia Catella. L'importo dell'operazione per ora è tenuto pudicamente riservato, ma certamente ha soddisfatto i venditori, stando alle dichiarazioni di Manfredi Catella, capo di Hines in Italia e leader del progetto. «L'acquisizione ha detto rappresenta un segnale positivo per l'Italia in termini di attrattività del Paese». Forse è vero, ma soprattutto, come dicevano gli antichi, «pecunia non olet», i soldi non hanno odore. Ma qualche considerazione meno pedestre questa notizia la merita. La prima potrebbe essere che da troppo tempo sentiamo parlare solo di acquisizioni straniere in Italia e mai, o solo marginalmente, di operazioni di segno contrario. Inoltre i qatarini hanno già dei bei pezzi di Milano, come lo storico albergo Gallia, e dell'Italia, come la Costa Smeralda e altro in giro per il Paese. Ma questi sarebbero lamenti fuori luogo perché gli stessi emiri hanno messo le mani su fette di Londra, di New York e di Parigi. E da quelle parti nessuno si lamenta. Anche perché, oltre ad essere comprati, inglesi, americani e francesi si danno gran da fare per comprare, partecipano attivamente al business globale, e soprattutto non si tratta solo di immobili. E qui sta l'aspetto preoccupante per Milano, confermato proprio dall'operazione Porta Nuova: gira e rigira da noi i grandi affari si fanno solo nel segno del mattone. Nella capitale economica del Paese, grande centro propulsore dell'innovazione, della ricerca, della tecnologia e di quello che un tempo si chiamava il «terziario avanzato», i grandi capitali si muovono solo nell'immobiliare. Fino a poco tempo fa la stampa sedicente progressista trattava con sufficienza quelli che chiamava spregiativamente «palazzinari», accusandoli di «consumare territorio», contrapponendoli prima agli industriali, poi ai maghi della finanza. Ora che a Milano di industria praticamente non ce n'è più e la finanza, accusata di averne combinate di tutti i colori, non gode certo di buona stampa, non ci rimane che l'immobiliare: anche in grande stile, certo, come nel caso di Porta Nuova, ma pur sempre di «super-plazzinari» si tratta. Sia chiaro, a noi gli immobiliaristi preferiamo chiamarli così - piacciono e molto, danno lavoro e creano valore: quando l'edilizia si ferma, l'economia si ferma; quando il mattone riparte, tutto il paese riparte.
Ma se a comprare sono gli stranieri e se i loro soldi si muovono solo per il mattone, allora sarebbe bello veder arrivare capitali anche per investire nella realizzazione di grandi centri ricerca o in iniziative industriali avanzate e sapere che vengono a farlo qui perché sono convinti che certe cose le sappiamo fare meglio di tutti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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