«Sarò un Don Giovanni decadente e senza voglie»

«Sarò un Don Giovanni decadente e senza voglie»

Per capire il senso del Don Giovanni di e con Filippo Timi - in scena da questa sera al 24 marzo nella Sala Grande del Teatro Franco Parenti - bisogna prestare la giusta attenzione al suo allarmante sottotitolo, secondo il quale «vivere è un abuso, mai un diritto». «Si tratta di una frase rubata ad Albert Caraco, un filosofo francese, per certi versi affine a Emile Cioran, del quale, da non ancora ventenne, divoravo letteralmente le opere - racconta Timi -; quando ho iniziato a pensare allo spettacolo mi era venuta in mente una citazione da Louis-Ferdinand Céline, "l'amore al livello dei barboncini", ma le prove hanno assunto una piega tale per cui "l'abuso di vivere" risultava un'espressione perfetta». Cioran, Caraco, Céline... dobbiamo aspettarci un Don Giovanni nichilista? Semmai radicalmente vitalista e profondamente inappagato, a giudicare quel che dice Timi. «Il personaggio che interpreto è un uomo decadente, un seduttore che non ha voglia, che affascina suo malgrado. È il prototipo di un'umanità volubile e insaziabile, l'umanità finalmente priva di quelle morali colpevoli dell'assurdo destino verso cui stiamo precipitando. Don Giovanni non brucia mai veramente, desidera bruciare, promette l'inferno e la sua arte è teatrale, recita così bene la promessa che è impossibile non credergli, o meglio, non desiderare di credergli».
Attorno all'attore, regista e scrittore che proprio oggi compie trentanove anni, ruota un cast di giovani e bravi interpreti - soprattutto Roberta Rovelli e Umberto Petranca - ai quali sono affidati gli altri ruoli dell'opera mozartiana, ovviamente riletti in una prospettiva obliqua e intensificata. «Donna Elvira è il passato, è la conquista difficile, l'amore che ritorna a chiedere il compenso di una promessa già fatta. Donna Anna è l'amore ingannatore, violento, l'amore compulsivo, immediato, sbagliato per definizione. Zerlina è l'improvvisazione, l'amore invidioso, il desiderio di ritrovare quella purezza semplice di sposare la figlia del farmacista».
Il Don Giovanni di Timi ha molto a che fare con il mondo di quando lui non aveva ancora vent'anni: Caraco a parte, è ricco di citazioni di opere e figure di culto per un adolescente degli anni ottanta, dai Pink Floyd all'Uomo Tigre, da Adriano Celentano alla Sirenetta di Walt Disney.

Ed è anche uno spettacolo «ricercato, addirittura estetizzante - nelle parole di Andrée Ruth Shammah - allo scopo di rompere il meccanismo dell'estetizzazione»: una pièce dal fasto straripante, grazie anche ai costumi dello stilista, e prezioso collaboratore di Miuccia Prada, Fabio Zambernardi, realizzati con «merletti inzuppati nel silicone, babydoll di crinolina, tessuti scivolosi come linoleum ma preziosi come porcellane di Meissen». E pensare che, all'inizio del dialogo creativo con l'attore e regista, ammette Zambernardi, «Timi e io abbiamo cercato di darci dei limiti a vicenda ma è servito solo a creare nuovi eccessi».

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