Sbarca all'Idroscalo la band afro che inventò l'hip hop

Domani sera sul palco il gruppo americano capofila del genere rap Il cinema di Spike Lee li rese celebri

Magnolia Estate è, da tempo, una realtà assodata dello scenario musicale estivo milanese. E per quanto la temperatura possa salire o scendere in città, per gli appassionati di musica il cartellone all'Idroscalo è quel che si definisce una boccata d'aria fresca. Se ancora servisse una dimostrazione del credito raccolto da Magnolia in Italia e all'estero, basti l'arrivo in città domani – per l'unica data italiana (apertura cancelli ore 19, inizio concerto ore 21, ingresso 25 euro, info 02.75.61.046) – dei Public Enemy. La formazione statunitense è, senza discussioni insieme ai Run-DMC, una di quelle che ben si può definire pioniera dell'hip hop d'oltreoceano, avendo mosso i primi passi negli anni Ottanta. L'estetica rap avrebbe in realtà trionfato nelle classifiche nel decennio successivo (con artisti come Snoop Dogg, Eminem, The Notorius B.I.G., Jay-Z), ma i Public Enemy, già dal nome scelto per la band, mettevano in chiaro gli stilemi di un genere che avrebbe fatto del «cattivismo», del mondo black e della realtà della strada una sorta di «topos letterario». La prestigiosa classifica targata «Rolling Stone», per dire, inserisce i Public Enemy tra le prime cinquanta band imprescindibili della storia della musica moderna e, trattandosi di hip-hop e non del rock ormai assurto a istituzione, non è sicuramente poco. La band guidata da Chuck D e Flavor Fav si accomoda dunque all'Idroscalo per raccontare, attraverso i suoi ritmi aggressivi e le rime spigolose, una storia cominciata nel 1987 quando tre giovani di nome Dj Terminator X, Professor Griffin e Flavor Flav sfornano un brano sanamente antipatico dal titolo, forse un po' scontato ma efficace, «Public Enemy No.1». Perché non farne il nome della band? La pensata è di un guru della discografica a stelle e strisce, quel Rick Rubin legato a nomi come Run-DMC, Beastie Boys e Slayer. Il «no» non è nemmeno previsto, e il primo album «Yo! Bum Rush The Show» si guadagna, con il successivo «It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back» i galloni del manifesto di un genere. Brani come «Don't Believe a Hype», «Bring The Noise» e «Fight The Power» (colonna sonora del cult movie «Fa' la cosa giusta» di Spike Lee) lasciano il segno.

Certo, i testi di Chuck D e compagni sono materiale che fa alzare il sopracciglio: i Public Enemy vanno dritto al bersaglio, spesso e volentieri urticando i punti fermi della borghesia benestante wasp e bianca del proprio Paese. Oggi che hip-hop e rap sono diventati da avanguardie rivoluzionarie a manieristiche posizioni di rendita, i Public Enemy restano un capitolo da rileggere.

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