Per il suo avvocato, David Maria Russo, è cambiato: «Al Beccaria, dove lo incontro spesso, il suo comportamento ineccepibile gli è valso persino un encomio. Ora si dedica al teatro». Per i giudici del tribunale dei minori, che lo scorso 22 marzo lo hanno condannato a 15 anni per omicidio (il pm ne aveva chiesti 26) è stato vittima «di un contesto familiare sbagliato, nel quale gli adulti di riferimento commettevano illeciti. Senza contare che non è mai andato a scuola». Per i familiari della sua vittima, il vigile di quartiere Nicolò Savarino, è un privilegiato molto scaltro: «I giudici gli hanno riconosciuto le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle aggravanti. La lettura delle motivazioni ci ha lasciato interdetti» sottolinea il loro avvocato, Gabriele Caputo.
Del resto l'intera vicenda di Remi Nikolic ha, per molti versi, del funambolico, con tanto di colpi di scena degni di un circo. Non per questo va dimenticato che a soli 17 anni, questo serbo croato si è reso responsabile di uno dei peggiori omicidi che Milano ricordi. Il 12 gennaio 2012 l'agente Savarino, 42 anni, mentre stava effettuando un normale servizio di controllo in un parcheggio in piazza Alfieri, davanti alla stazione ferroviaria della Bovisa, venne travolto dal suv guidato dal nomade. Remi investì il ghisa che lo voleva bloccare e trascinò il suo corpo per 200 metri fino in via Varè e poi fuggì. Tre giorni dopo gli investigatori della mobile, riuscirono a fermarlo in Ungheria.
All'inizio molti dubbi sulla sua vera identità: tra i tanti alias venne preso per buono quello di Goico Jovanovic, 24 anni. Dopo l'estradizione il ragazzo rimase per oltre due mesi nel carcere di San Vittore, con il gip e il tribunale del riesame che confermarono la misura cautelare, malgrado la difesa del giovane sostenesse che era minorenne. Ci si avvicinava così a un processo davanti al tribunale con l'accusa di omicidio volontario aggravato. Pena massima: l'ergastolo. La battaglia legale della difesa è andata avanti, però, tanto che è stata poi la stessa Procura di Milano, nell'aprile 2012, a trasmettere gli atti al tribunale per i minorenni perché si poneva seriamente il dubbio della minore età. Il ragazzo è stato quindi trasferito nel penitenziario minorile Beccaria. Poi sono arrivati gli esiti di una perizia medico-antropologica disposta dal codifensore del ragazzo, il professor Guglielmo Gulotta, e infine un certificato di nascita recuperato in Francia: si è così scoperto che era stato registrato all'anagrafe come Remi Nikolic ed era nato il 15 maggio 1994 in un carcere parigino, dove all'epoca era detenuta la madre.
Quando il 24 gennaio, dodici giorni dopo la morte di Savarino, il padre di Remi, Zoran, scarpe di rettile e sigaretta in bocca, si presentò ai giornalisti per difendere l'identità del figlio insistendo che era minorenne, fu subito chiaro che il contesto familiare a cui fa riferimento il tribunale dei minori nelle motivazioni della sentenza è avvezzo ai «coup de théâtre».
«La Procura di Milano per Remi chiese 26 anni sostenendo il dolo diretto: il rom voleva scappare dal parcheggio e ha deciso deliberatamente di fare quella manovra e di uccidere l'agente - spiega l'avvocato Caputo -. Il tribunale dei Minori invece ha riconosciuto il dolo eventuale: in pratica ha detto che il fine del rom era sì la fuga, ma non voleva ammazzare l'agente anche se travolgendolo con il suo suv si assumeva qualsiasi rischio, anche quello di ucciderlo. Questa lettura giuridica differente della vicenda insieme alle attenuanti generiche spiegano la condanna a 15 anni che tutto sommato si poteva aspettare da parte di un tribunale per minorenni, ma le motivazioni ci danno molto fastidio».
Secondo l'avvocato Caputo il pm aveva ampiamente dato prova del fatto che il nomade volesse uccidere, ma il tribunale non ha accolto tutte le motivazioni. «È un po' debole fare riferimento all'ambiente famigliare difficile - conclude Caputo -. Noi non ci fermiamo. La procura ha fatto appello contro la sentenza: l'udienza è prevista per il 5 novembre».
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