Se Ramelli è una storia da imparare

I politici devono studiare la storia. E non solo loro

Se Ramelli è una storia da imparare

Ha ragione il senatore a vita Liliana Segre, i politici devono studiare la storia. Ma non solo loro. E soprattutto bisognerebbe studiarla tutta. Quella dei partigiani, anche se a mancare è più la buona volontà che lo spazio su libri di scuola, monumenti e feste nazionali, ma anche quella di chi partigiano non è stato. Nel passato remoto e anche in quello più prossimo, perché con il sangue dei vinti gli storici sono stati ben più tirchi. Si eviterebbe così l'errore di un prestigioso quotidiano, denunciato dal deputato FdI Marco Osnato e la definizione di Sergio Ramelli come «militante di estrema destra», mentre era un diciottenne del Fronte della Gioventù e «morto nel 1976 durante gli scontri con Avanguardia operaia». Uno svarione come i tanti che possono capitare nelle redazioni. Forse questa volta un po' più grave, perché Ramelli non è morto durante degli scontri, ma è stato aspettato sotto casa dal servizio d'ordine di Avanguardia operaia e sotto gli occhi di mamma Anita sprangato con la famigerata «Haziet 36», tre chili e mezzo di chiave inglese che gli sfondarono la testa per farlo morire dopo 48 tremendi giorni di agonia. Era il 1975 (e non il 1976) e, quando la notizia arrivò a Palazzo Marino, qualcuno in un consiglio comunale di rispettabili comunisti, socialisti, liberali e democristiani si alzò e applaudì soddisfatto.

Dicevano che era un fascista e i preti non volevano fargli il funerale, la questura vietò ai suoi amici di accompagnarlo in chiesa, i compagni comunisti fotografavano chi andava a trovarlo in coma, per fargli fare la stessa fine. Uno dei suoi assassini diventerà primario a Niguarda. Quante cose insegna anche la storia di Ramelli.

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