Un secolo di visioni urbane nel mito della «città nuova»

Dove oggi sorge il cinema Odeon, a un centinaio di metri dal duomo, tra il 1883 e il 1926 era attiva la centrale di Santa Radegonda, il primo impianto per la produzione di energia elettrica in Europa. Le sue quattro dinamo permettevano l'illuminazione della zona compresa tra la Scala e la Galleria, ed erano ancora considerate un piccolo gioiello di tecnologia industriale, che suscitava la curiosità e l'ammirazione dei Milanesi, nel primo decennio del '900, quando Filippo Tommaso Marinetti celebrava «i cantieri incendiati da violenti lune elettriche». Antonio Sant'Elia, l'unico firmatario - ma non il solo autore - del Manifesto dell'Architettura Futurista, aveva il suo studio nei pressi di via Santa Radegonda ed era tra gli entusiasti della potenza allo stesso tempo energetica ed estetica di quell'impianto, così come dei molti altri che stavano sorgendo allora in Lombardia. Nelle sue minuziose tavole progettuali, l'architetto nato a Como nel 1888 - e morto ventottenne nel 1916, colpito in fronte da un proiettile in un combattimento sui monti del Carso - stava ideando «la città nuova», la metropoli del futuro in cui le centrali elettriche avrebbero alimentato spostamenti continui tra gli edifici, una costante fluidità tra strutture imponenti e svettanti che avrebbero accolto milioni di persone.
Fino al 14 luglio quei disegni saranno esposti in tre sedi del capoluogo lariano: presso la Pinacoteca Civica e il palazzo dell'Unione Industriali, e nelle sale di Villa Olmo. All'interno di questa splendida dimora neoclassica però gli schizzi di Sant'Elia costituiranno solo l'inizio di un lungo percorso che condurrà fino all'arte degli anni 2000. La città nuova. Oltre Sant'Elia è infatti una mostra che, come recita il sottotitolo, prende in considerazione «cento anni di visioni urbane» all'insegna dell'utopia, del desiderio di plasmare centri abitati nei quali applicare gli assiomi della modernità. Sappiamo tuttavia com'è andata: i postulati di efficienza progettuale e perfezione sociale si sono scontrati con una realtà inerte generando il dogmatismo di Le Corbusier e Frank Lloyd Wright - dei quali saranno presenti i grandi plastici, comparabili a sculture, dei modelli urbani più emblematici, rispettivamente il Plan Voisin del 1925 e Living City del 1959 - oppure la fuga nell'ironica ed elegante chimera degli Archigram, e nelle caleidoscopiche invenzioni del radicalismo architettonico degli anni '60, che in Italia ha avuto Archizoom e Superstudio tra i suoi punti di riferimento.
Un ruolo fondamentale nella creazione di questo nuovo immaginario urbano è stato giocato dalle arti che - dai dipinti di Ferdinand Léger ai collages di Paul Citroen, dai disegni di Erich Kettelhut per la scenografia di Metropolis, la pellicola girata da Fritz Lang nel 1927, alle foto e ai film Laszlo Moholy-Nagy - hanno tenuto vivo il sogno della città nuova passando poi il testimone alle avanguardie del secondo '900.

La mostra presso Villa Olmo, curata dal direttore della Fondazione Antonio Ratti, Marco De Michelis, si conclude con le opere di alcuni protagonisti della scena creativa contemporanea, come Chris Burden, autore della megalopoli di giocattoli intitolata Pizza City, e Carsten Holler, l'artista tedesco che, nelle sue preziose e aeree installazioni, simula la realizzazione della Città volante concepita da Krutikov nella Russia degli anni '20: una metropoli tersa e sospesa, ma soprattutto fluida ed energetica, persino in assenza di elettricità, che probabilmente sarebbe piaciuta a Sant'Elia.

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