La signora dell'arte: ecco perché lascio Milano

«Non dimentichiamoci che il Futurismo è nato a Milano. La città ambrosiana ancora una volta potrebbe dare una svolta culturale mondiale, se avesse il coraggio di cambiare il sistema atrofizzato dell'arte italiana. L'arte del terzo millennio ha necessità di un cambiamento di rotta a 360°. L'artista oggi deve essere al servizio della società». Parole di Lucrezia De Domizio Durini, figura di primo piano della scena artistica contemporanea, «operatrice culturale con una propria filosofia», ma soprattutto «collezionista di rapporti umani». Così si è autodefinita in Perchè, il suo libro recentemente pubblicato da Mondadori: molto più di un autobiografia, il volume (che sarà al centro di una singolare rappresentazione al Teatro Out Off il 23 settembre) è «un romanzo di vita vissuta» nel quale «tutti i personaggi che il lettore incontra sono contestualizzati all'interno di fatti inequivocabili».
Oggi la De Domizio Durini risiede a Parigi, dopo aver vissuto per più di vent'anni a Milano. È arrivata nel capoluogo lombardo nel 1987, poco dopo la scomparsa di colui che considera il suo maestro, il grande artista tedesco Joseph Beuys. «Milano è la città che più di ogni altra ho nel cuore. Ricordo il periodo milanese come un sogno che mi ha permesso di creare delle realtà inconfutabili. Allora la ritenevo l'unica città italiana dal volto europeo che, se fosse stata governata da uomini con un pensiero forte rivolto all'arte, avrebbe potuto costituire uno dei principali snodi della circonvallazione culturale del nostro continente. Da tempo non nutro più questa speranza. Il business della moda, con la sua ingordigia, ha inghiottito l'arte e trasformato i critici nei suoi portaborse. Purtroppo il problema non è solo milanese, è italiano, ma nella città ambrosiana è molto più evidente».
Il giudizio della De Domizio Durini sulla situazione culturale di Milano non lascia margini di dubbio. «I grattacieli, le fondazioni dei modaioli, le mostre itineranti, i riciclaggi, le gallerie-boutique, i luoghi remember di musei caserecci, hanno prodotto in questi confusione e ambiguità. In ambito artistico Milano è provinciale, non ha nulla a che fare con le proposte che osano i galleristi europei, né è possibile un benché minimo paragone tra i suoi musei e quelli stranieri».
Tra le cause della decisione di lasciare l'Italia, c'è un fatto grave che, a suo tempo, ha creato un grande scalpore. «Lo stato prima e cinque musei in seguito hanno rifiutato sia la mostra Joseph Beuys. Difesa della Natura, sia la Donazione di 300 lavori che invece, nel 2011, è stata accolta ed esposta dalla Kunsthaus di Zurigo, alla quale avevo già donato la regale opera Olivestone». A Parigi, ammette l'autrice di Perchè, «vivo e lavoro serena. Proprio qui, nel 1993, mi è stata conferita da Jack Lang l'Onorificenza di Cavaliere dell'Ordine delle Arti e della Letteratura».

Ma per Milano, nonostante la delusione, non ha in serbo un progetto, magari in vista del 2015? «Mi piacerebbe proporre all'EXPO un meeting dell'intera FIU, la Free International University di Beuys, con la quale lavoro in molti paesi: si tratterebbe di un unicum mondiale, e di un forte messaggio di rinnovamento culturale per la città».

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