"So cos'è l'oppressione e mi ribello ai fanatici. Giusta la rivolta in Iran"

La ex consigliera comunale del Pd, Sumaya Abdel Qader, rivela: "Io frustata dai religiosi, non è il mio islam"

"So cos'è l'oppressione e mi ribello ai fanatici. Giusta la rivolta in Iran"

Sumaya Abdel Qader, lei è stata dirigente dei centri islamici e consigliera comunale, in questi giorni le donne dell'Iran chiedono libertà, gettano via il velo e protestano contro il regime. Da che parte sta?

«Le manifestazioni sono giuste e necessarie. Non è più tollerabile che un paese imponga la religione e la sua pratica ai suoi cittadini. Ancor meno tollerabile è l'esistenza di una polizia morale. Sto con le donne iraniane e con tutte le donne che pretendono di poter scegliere cosa fare o indossare».

Ha avuto un'esperienza personale di «oppressione»?

«Avevo 14 anni ed ero a Gedda in Arabia Saudita, in una via dello shopping con un'amica. Avevo il viso coperto dal Niqab e decisi di toglierlo perché mi soffocava e lo ritenevo un abuso. Fui intercettata dalla polizia religiosa che mi intimò di ricoprirmi il viso, nonostante fossimo in una città dove non era obbligatorio. Mi fu detto che ero troppo provocante (pelle chiara e occhi chiari). Al mio rifiuto e alle mie grida di disappunto venni frustata alle gambe, lì, come punizione esemplare davanti a tutti. Fui graziata e non arrestata forse perché la mia amica per difendermi disse che ero italiana (nonostante, a quei tempi, non avessi ancora la cittadinanza). Fu in quel giorno che capii che la religione poteva essere un terribile strumento di oppressione, per le donne in particolare. Promisi a me stesse di oppormi sempre a ogni forma di fondamentalismo e di essere fedele al principio coranico non c'è costrizione nelle religione».

Il velo. Imposto, discusso, a volte rivendicato. Cos'è?

«Il velo dovrebbe essere un libero esercizio spirituale, come lo è per le suore. Deve essere una libera scelta non imponibile né discriminante. Ma da una certa ideologia islamista, il velo, è stato invece ridotto all'essenza dell'essere donna devota. Un indumento necessario per essere considerate buone musulmane e future madri e mogli devote al marito. Il corpo della donna è stato sessualizzato e visto come agente provocatore nei confronti degli uomini. Una visione inaccettabile che tra l'altro declassa il maschio a un animale che cede all'istinto e la donna ad una pericolosa provocatrice che induce al peccato. Questo non è l'Islam in cui credo e questo pensiero va rifiutato e contrastato con forza».

Quello degli ayatollah è un regime integralista?

«Direi fanatico ed estremista».

Lei ha fatto parte di sigle che uno studioso ha definito riconducibili «all'orizzonte dei Fratelli musulmani». Storia passata?

«Ho fatto parte di una organizzazione europea che metteva in rete una pluralità di anime e vi aderivano associazioni con background molto differenti tra loro. Si cercava di costruire una rappresentanza e dare indirizzi alle comunità in Europa. In queste realtà vi erano alcune persone, anche dirigenti, che avevano avuto un trascorso nei Fratelli musulmani, per poi abbandonarli, il professor Campanini parlava di arcipelago, dove c'è tutto e il contrario di tutto. La mia posizione, come quella della maggioranza degli associati, era quella di creare una comunità musulmana europea slegata dai paesi di origine e da movimenti politici di quei Paesi. In primis perché abbiamo visioni e obiettivi inconciliabili. Per me era un punto saldo».

Oggi lei è dottoranda alla Cattolica a Milano. Cosa significa?

«Vuol dire continuare a costruire ponti e condividere lo studio di ciò che ci circonda coinvolgendo diverse sensibilità e sguardi. Lo trovo il miglior approccio possibile».

Lei ha un suo percorso. Oggi dice: «Sono contro gli islamisti e gli estremisti». Ha un «prezzo» umanamente?

«È una posizione che trova sempre più consenso, specie tra le giovani ragazze. Ci stiamo organizzando sempre di più. Ovviamente c'è chi ci contrasta e cerca di isolarci ma ciò non ci preoccupa perché gli estremisti islamici sono la nostra sciagura e vanno contrastati annullando la loro influenza. Saremo noi donne a farlo».

È pensabile un percorso democratico nei Paesi islamici?

«Ogni popolo oppresso ha la chiave per la sua libertà tra le proprie fila. Noi da fuori possiamo fare poco ma quel poco deve essere forte e deciso e coerente (per esempio perché continuiamo a fare grandi affari con certi paesi che il concetto di diritti non lo sfiorano neanche?).

Teniamo alta l'attenzione sulle donne iraniane e tutte le donne oppresse, sosteniamole promuovendo ogni iniziativa possibile. Mi auguro con tutto il cuore che in tutti i Paesi dove non c'è libertà democratica, tra questi anche molti paesi a maggioranza islamica, si sviluppino percorsi democratici».

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