Hanno molte cose in comune. La voce. Il sorriso. La passione. La spensieratezza. Quel modo di vedere la vita intesa un po' come un romanzo. La battuta pronta. E soprattutto il dna. I De Zan hanno il dna del telecronista del ciclismo. Capace di portarti lì a bruciare sulla linea del traguardo, uno sprint al cardiopalma con velocisti spettacolari che fulminano tutti uscendo come principi dal treno (Cipollini). Con la testa allungata fuori dalla tribuna stampa. Dove non farsi sfuggire un nome dopo l'altro dei campioni che arrivano alla fine della propria avventura.
O di portarti lassù, dove arrampica da bestia «scollinando» il Mortirolo, o lì e là, sui tornanti dello Stelvio... Gli ultimi duetti di Bugno e Chiappucci. Le fughe piratesche di Pantani. Le classiche di Bartoli. Quei due De Zan hanno il dono del telecronista: Adriano lo faceva per la Rai ed è scuola, università, mestiere, raccontando per oltre 40 anni il grande ciclismo. Davide per Mediaset che ribalta «il Giro d'Italia in tv» e per cinque bellissimi anni lo esalta trasformandolo in uno spettacolo. Un grande concerto dal vivo.
Adriano prima e Davide dopo sono due che sanno raccontarti il ciclismo fra realtà e romanzo. Sono i De Zan del ciclismo. Di padre in figlio. E lui, il figlio, adesso scrive, scrive di getto, scrive senza pensieri. Si libera di cosa c'è dietro, cosa c'è nel petto che batte seguendo il filo di quel buon sangue.
Scrive tutto, pesca nella sua vita da bambino, da figlio, da ragazzino e da adulto e scrive un romanzo, Pedala!, che è una biografia, ma è soprattutto un romanzo della bicicletta. Un romanzo da De Zan, da autore, da telecronista. Che, pagina dopo pagina, lo senti nelle orecchie come quelle voci, che ti raccontano il ciclismo.« All'origine della passione e del mestiere del telecronista e all'origine della prima bicicletta: che poi è la vera e forse unica protagonista del mio romanzo» dice Davide De Zan.
Davide De Zan romanziere, una sorpresa per tutti...
«Non lo sapevo nemmeno io, questo libro è venuto così, con tutta la felicità della bicicletta. Che una bicicletta si porta attorno e sulla strada. Forse alle donne piacerà più che agli uomini, perché è un romanzo nel quale ci sono sì storie ed episodi di grandi interpreti del ciclismo, ma soprattutto c'è lei, la bicicletta. Quella della prima volta senza le rotelle, quella che fa sognare, nella vita, nel lavoro, nello sport».
E c'è Milano. Milano è la scenografia di tutto.
«C'è Quarto Oggiaro, c'è la zona della Fiera, c'è piazza Duomo, ci sono i Navigli e c'è il Vigorelli. È una Milano da romanzo. E per me è ancora così. Mi è piaciuto ricordarla in zone che la caratterizzano, ieri come oggi. E che sono emozionanti da descrivere e conservano un fascino tutto loro. Una Milano che adesso vivo essenzialmente sul Naviglio, me lo godo, bellissimo, anche in questi giorni con il fascino dei colori e delle luci che cambiano a seconda dell'ora, come un piccolo paese all'interno della città. È la magia di Milano che è molto legata, nel mio libro, alla passione per la bici. Da lì, dal Naviglio partivo da ragazzino con mio padre per andare a Cisliano in bicicletta».
La prima bici, la prima bici da corsa, quella speciale di Masi da provare al Vigorelli mano per mano con Tano Belloni, con il grande Maspes sono aneddoti di un privilegiato.
«Sì un privilegiato della bicicletta e del mestiere. Della bicicletta lo sono stato spesso, al Vigorelli, come racconto, e poi anche molti anni fa quando in bici ci andavo più seriamente e ebbi l'onore di pedalare in Toscana in compagnia di gente che fa di nome Cipollini, Bartoli o in Romagna con Marco Pantani. Ma soprattutto mi sento un privilegiato del mestiere. Perché ho avuto l'onore, il privilegio appunto, di essere la voce del Giro, di raccontare il ciclismo, la responsabilità di fare vivere quelle emozioni alla gente inchiodata davanti alla tv, quando la tv per tre ore di fila faceva indici di ascolto da brividi. Ancora oggi dirlo fa effetto: 40 per cento di share. Sono sincero questa è una delle cose di cui più vado fiero nella vita. E credo sia inevitabile per uno cresciuto a rosette (pane) e ciclismo. In un mestiere che ha bisogno solo di due ingredienti fondamentali: l'umiltà e la passione. È così che poi l'emozione del ciclismo passa attraverso lo schermo. È così che poi puoi portare la gente sulle strade della fatica e dell'impresa.
Chi ha questa stessa vocazione del telecronista mi capirà: ti senti un po' come un cantante, è bello poter interpretare qualche pezzo, qua e là, i miei servizi, ma se hai l'occasione di esibirti in un concerto dal vivo, beh la musica cambia!».
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