Gianni Brera, el Gioànn, torna e lo fa in teatro. In grande stile, al Franco Parenti dove sabato (e per tre sere) debutta «Gioànn Brera l'inventore del centravanti» di Sabrina Negri, interpretato da Bebo Storti, artista poliedrico che ci porta per la prima volta sul palco il più grande giornalista sportivo italiano scomparso 20 anni fa.
Bebo Storti sarà Brera. Diventa genio e invettiva, anche nel linguaggio, il suo linguaggio. Diventa emozione da trasmettere attraverso la storia italiana del Novecento, fra comicità e tragedia, fra imprese, trionfi, drammi sportivi e umani, fra Coppi e Bartali, Meazza, il grande Torino. È un'umanità che va in scena in questa piéce scritta da Sabina Negri con musiche dal vivo e canzoni di Jannacci. È la buona novella dello sport che amava raccontarci così bene el Gioànn.Una buona novella che torna anche fra gli scaffali di lettura, persino quella più ricercata. Dal teatro alla libreria, meta preferita di Brera (dopo le buone trattorie pavesi): il grande giornalista sportivo, che fu anche scrittore di saggi e di romanzi, è in questi giorni in libreria con un inedito. Una novella. Delle sue. Forse un po' strampalate, come dicono i più raffinati. Per questo bella. S'intitola «Brambilla e la squaw» (120 pagine, 10 euro) pubblicata da Frassinelli. Doveva essere un lavoro a quattro mani, dove le altre due sarebbero state del figlio Paolo, anch'esso scrittore e giornalista. Il figlio, invece, non ha voluto toccare quel manoscritto che tanto strampalato non è.Lo potremmo piuttosto definire «piacevolmente provinciale», perché è il romanzo del dottor Carlo Brambilla, costretto a fuggire dall'Italia perché ricercato per essere mazziniano. In fuga dalle proprie idee, il dùtur emigra e accetta di prestare il suo servizio medico di frontiera presso la Pacific Railway. Fuga nel Far West. È un'America tutta inventata questa di Brera, un'America capace di stimolare il genio abile e fantastico nel descrivere, raccontare, pennellare, persino inventare le parole giuste, quando non c'erano (i suoi neologismi). Un Brera che racconta in dodici giorni di viaggio il dramma del dottor Brambilla fra bisonti e Sioux («selvaggi che attaccano con belluino furore»).
Libreria e teatro: c'è un Brera che da una parte con «Brambilla e la squaw» ci riporta al suo talento facendoci conoscere un personaggio lombardo, anzi pavese, reso inquieto dal suo pensiero mazziniano e dalle avventure risorgimentali, e ce n'è un altro, giornalista sportivo, che Bebo Storti fa rivivere. Una piéce teatrale e un romanzo che si potrebbero bere sorseggiando lentamente come il Barbaresco prediletto da Gianni Brera e fra un tiro e l'altro di una Super senza filtro, le sue sigarette.
Per la cronaca ci fu anche il cinema. Con Brera di mezzo. Il «Corpo della ragassa», scritto e pubblicato molti anni prima, divenne anche un film, diretto nel 1979 da Pasquale Festa Campanile.
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