L'abito da sera ricamato (a mano) di Jole Veneziani, con la sottogonna in tulle cucita alle pagine di un quotidiano datato 1953, è un capolavoro di artigianalità e originalità (non esibita), ed è il simbolo del boom economico degli anni '50. L'abito luminoso in organza e fibra ottica di Federico Sangalli rappresenta il futuro dell'alta sartoria: ogni 50 centimetri (dei 12 metri di organza), il tessuto è stato «cablato» e si illumina grazie alle batterie, ma la fibra ottica è smerigliata a mano (così la luce risplende in modo casuale), e tutto è cucito con una macchina a pedali della tradizione.
Dal passato al futuro, l'alta sartoria milanese è un concentrato dello «stile Milano», uno stile fatto di eleganza e sobrietà, lusso e discrezione. Uno stile unico ora raccontato dalla mostra «Stile Milano. Storie di eleganza», appena inaugurata a Palazzo Morando (via Sant'Andrea 6, ingresso gratuito fino al 29 marzo). Traghettandoci dagli anni '50 ai giorni nostri, la mostra punta i riflettori sull'eleganza innata delle milanesi, assurta a simbolo dell'italianità dal secondo dopoguerra, quando le sartorie di alta moda e le case di alta gioielleria erano tutte concentrate nel Quadrilatero della Moda, oggi regno delle griffe.
SI racconta anche questo al primo piano di Palazzo Morando, aperto al pubblico proprio in occasione della mostra dove, grazie all'allestimento ideato da Maurizio Favetta e Antonio Pio Giovanditto, possiamo capire i cambiamenti del costume e la nostra storia attraverso abiti e gioielli: gli anni '50 del boom economico, i rivoluzionari 60, gli anni di Piombo, la spensieratezza degli anni 80, il pop dei 90, il nuovo millennio, la crisi mondiale. Ecco allora gli abiti senza tempo di Biki, i capolavori di Gigliola Curiel (che spopolava anche a Parigi), il tubino di Germana Marucelli con dischi in alluminio, la tuta di Mila Schön con il taglio ispirato a Fontana, i vestiti romantici di Luisa Beccaria, lo smoking contemporaneo di Sangalli: 15 metri di raso nero e almeno cento pieghe per la giacca sartoriale e una gonna in rete che sovrasta i pantaloni. Ed ecco i tanti pezzi unici creati dai gioiellieri milanesi: da Buccellati a Cusi fino a Schreiber e Merù. Abiti e gioielli sono tutti senza tempo, perché la grande sartoria come l'alta gioielleria non segue le mode, al massimo un'ispirazione. Nel dopoguerra era lo «stile Parigi», ma già negli anni '50 le sartorie milanesi (quasi tutte trainate da donne) creano lo stile Milano. Da Biki a Pirovano fino alla Curiel, le grandi sartorie regnano incontrastate fino alla nascita del prêt à porter nei primi '70, anche se gli stilisti continuano a rivolgersi alle sarte, poi, dagli anni '80, l'evoluzione degli atelier che iniziano a vendere all'estero.
Inoltre, come spiega Cristina Ongania, curatrice della mostra insieme all'ideatrice Mara Cappelletti, il lavoro di «ricerca ha permesso anche di rileggere, attraverso alcune delle penne più ironiche, intelligenti e fantasiose del giornalismo italiano, tra cui Camilla Cederna, Lina Sotis e Marisa Rusconi, i modi e le mode dell'uso e dell'acquisto del gioiello, sullo sfondo degli avvenimenti sociali ed economici che hanno contribuito ai cambiamenti dello stile dal dopoguerra oggi».
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