Genova - Ormai è un classico. Uno di quelli pronti ad entrare nella galleria delle frasi fatte, in buona compagnia «non ci sono più le mezze stagioni» e «una volta qui era tutta campagna». Ma, per l'ennesima volta - quattro su quattro da quando il Genoa è tornato in A e il derby di Genova è tornato ad essere uno dei beni culturali calcistici del campionato italiano - lo spettacolo migliore è stato quello fuori dal campo. Almeno fino a Milito e al suo straordinario show.
Per buona parte della partita - per l'appunto, fino a quando Milito è tornato Milito, dopo mesi di letargo ed infortuni che l'avevano tenuto prima lontano dai campi e poi trasformato nella contromisura di se stesso - lo spettacolo è stato il Ferraris. I colori delle gradinate, gli sfottò con gli ultrà scatenati (per lunghi tratti anche troppo, con gli striscioni risparmiati tutto l'anno sfoggiati tutti insieme, tutto in una notte), le cabale e tutto l'armamentario classico del derby della Lanterna. Una meraviglia, capace di conquistare anche chi non è tifoso. Soprattutto, capace di conquistare chi ha assistito alla prima mezz'ora di gioco dominata dai tatticismi, dalla distanza (tecnica, umana, caratteriale, calcistica, tricologica, comunicativa) dei due tecnici, dalla differenza e dalla diffidenza dei due club, nonostante i recenti sforzi di fair-play. E quindi tensione, e quindi gioco spezzettato, e quindi falli continui, e quindi brutto arbitraggio, e quindi brutta partita. E quindi il solito derby degli ultimi due anni, senza soluzione di continuità fra andata e ritorno e di uno-ics-due come esito.
Poi, per l'appunto Milito. Dopo un paio di apparizioni di Cassano, troppo timide per essere vere cassanate, nel senso divino che la parola sa avere, lo show del numero 22 rossoblù. Prima una sgroppata delle sue, poi il gol. Costruito fantasticamente da fuori area e poi concretizzato dentro, quando l'azione sembrava destinata a sfumare. Minuto 29.
Da lì, è un'altra partita. Il Genoa gioca più sciolto e va vicino al gol cinque minuti dopo e poi ancora allo scadere. Il Doria deve fare la partita e fa più fatica, pagando per larghi tratti dell'incontro la scarsa vena di Fantantonio, a lungo nei panni di Fintantonio, spesso a terra e troppo impegnato a protestare. Poi, a un secondo dalla fine, punizione per i blucerchiati, tiro di Palombo, rimpallo e gol di Campagnaro. Comunque, 1-1. Un'altra volta, un'altra partita. Sammarco - prima di lasciare il posto a Delvecchio - si mangia un gol davanti alla porta al terzo minuto della ripresa.
Poi, complice Raggi sulla fascia, il peggiore in campo, si scatena Palladino, in versione Eupalladino, figlio della dea Eupalla, straordinario fino al momento di crossare, ma poi un po' inconcludente quando c'è da concludere o pronto a cross destinati al deserto. Poi, più o meno alla stessa altezza del primo tempo, mezz'ora, ancora Milito. E fanno tre, quattro alla fine in due derby quest'anno. Fosse anche solo per questo - e non è solo per questo - pronto ad entrare nella storia rossoblù. C'è ancora tempo per una mezza rissa in area e per un bel pressing finale blucerchiato, che va vicinissimo al gol in un paio di occasioni. E per tre espulsioni: Ferrari, Motta e Campagnaro. Fino al tris in contropiede di Milito, con assist del solito Eupalladino.
Vince la squadra che ha giocato meglio e che continua a sognare la Champions, col presidente Preziosi sotto la nord, prima volta da quel famoso Genoa-Venezia. Il vero obiettivo doriano è la finale di coppa Italia di mercoledì 12 a Roma con la Lazio.
Quella è la Partita della stagione del Doria. Alla faccia delle dichiarazioni dei dirigenti e dei tecnici blucerchiati che l'avevano messa improvvisamente e provincialisticamente sullo stesso piano del derby. Finiti come i pifferi di montagna.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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