«Il mio jazz suona mondi lontani»

All’Auditorium di Milano suona questa sera il trombettista Enrico Rava con il suo «New Quintet» del quale fanno parte Gianluca Petrella trombone, Giovanni Guidi pianoforte, Piero Leveratto contrabbasso e Fabrizio Sferra batteria. L'appuntamento è per le 21. Il concerto di jazz ha luogo nella sera di pausa delle tre repliche della «Passione secondo Matteo» di Johann Sebastian Bach, e questo è un buon segno dei tempi. Un altro buon segno è che il quintetto italiano, dopo aver registrato il tutto esaurito al Teatro Regio di Torino e alla Casa della Musica di Roma nella sala di 2400 posti, possa contare di fare il tris a Milano. Dieci anni fa o poco più, simili risultati sarebbero stati impensabili: continua quindi la popolarità crescente della musica afro-americana in Italia, malgrado alcuni segnali contrastanti.
Rava, che nel prossimo agosto approderà felicemente ai settant'anni, sta vivendo una splendida seconda giovinezza come compositore, come solista di tromba e di flicorno e come direttore, che nel suo caso si coniuga con la capacità di scoprire nuovi talenti. E' stato lui il primo, a metà degli anni Novanta, ad intuire le doti del pianista Stefano Bollani e poi di Petrella e di Guidi, per citare soltanto i più noti, e a farli suonare nelle sue formazioni. Il Nuovo Quintetto ha ormai carattere di stabilità, e allinea anche due musicisti collaudati come Leveratto e Sferra.
Quale programma è previsto per il concerto di questa sera?
«E' un po' misto -risponde Rava- sebbene i temi siano tutti miei: ci saranno musiche tratte dai miei ultimi dischi, naturalmente eseguite in modo diverso e comunque più aperto verso altre civiltà musicali, e meno legato alla tradizione del jazz che noi chiamiamo mainstream».
Devo accennare alla nostalgia che alcuni suoi estimatori hanno per due periodi importanti della sua carriera, entrambi degli anni Novanta: il momento del suo interesse per il melodramma che le ha fatto licenziare cd come «Rava l'Opera Va» e «Rava Carmen» per Label Bleu; e il quintetto «au pair» con Paolo Fresu, del quale faceva parte l'emergente Bollani. Che cosa mi dice?
Sorride. «Il momento del melodramma è stato molto bello. Lo devo alle sollecitazioni di mia moglie Lidia che è melomane, ma lo considero concluso perché cerco di ripetermi il meno possibile. Riguardo al gruppo con Fresu, ci divertivamo molto, però a un certo momento abbiamo deciso di comune accordo di smetterla perché due trombe su cinque strumenti erano davvero troppe».
Nessuno dei trombettisti di oggi, in America e in Europa, è sfuggito all'influenza di maestri come Miles Davis, Clifford Brown, Chet Baker e Freddie Hubbard.

Quali sono i suoi prediletti?
«Ho sempre avuto attenzione per i trombettisti con il suono “scuro“ come quelli che lei cita. Più degli altri ho amato Miles Davis, sebbene mi si dica che talvolta “bakereggio“ in qualche frase. Credo sia inevitabile, ma cerco comunque di essere soprattutto Enrico Rava».

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