«Via il mio nome dal simbolo» Ma Tonino si rimangia la parola

Doveva essere l’inizio del cambiamento invece è solo il proseguimento della vecchia musica. L’aveva detto: toglierò il mio nome dal simbolo dell’Idv, il nome di Di Pietro s’intende, è finita la fase del partito personalistico, ora che siamo all’8% comincia la fase congressuale. E adesso? Alle solite, Tonino ha fatto merenda dei buoni propositi, grazie ai suoi zelanti colonnelli, più realisti del re come si conviene in un partito come l’Idv. Lo toglierà il suo nome, sì, ma non se ne parla fino alle prossime elezioni politiche, all’alba del 2013. Si è preso altri quattro annetti per pensarci su.
La scena della commedia è questa. Ultimo esecutivo dell’Idv, il 22 giugno scorso, il famoso vertice di partito che avrebbe dovuto lanciare il grande cambiamento. Si brinda al risultato europeo (un po’ meno a quello amministrativo), si disegnano i comitati interni che dovranno occuparsi del programma e della preparazione del congresso del 2010. Poi si arriva alla questione del simbolo. È fresca nella memoria dei 43 parlamentari dell’Idv presenti all’esecutivo la promessa di Di Pietro fatta poche ore dopo la chiusura delle urne europee. «Abbiamo raddoppiato i consensi rispetto alle ultime politiche, l’Idv non è più un partito personale ma dimostra di essere un partito popolare pronto a costruire l'alternativa al modello di governo berlusconiano. E il 22 giugno prossimo l’esecutivo nazionale deciderà di togliere il mio nome di fondatore dal simbolo allo scopo di favorire la costruzione di un nuovo partito su base universale». Ebbene, l’esecutivo in questione non solo non ha deciso di togliere il suo nome dal simbolo, ma ha fatto il contrario. Durante la riunione tre dei fedelissimi di Di Pietro hanno sollevato subito l’obiezione più compiacente per il caro leader Tonino. «Togliere il nome Di Pietro dal logo Idv lo renderebbe meno indentificabile, ci indebolirebbe. Teniamolo, almeno fino alle politiche del 2013, poi si vedrà». Questa la proposta dei pretoriani di Di Pietro, seguita dal silenzio più totale dell’assise e dall’altrettanto silente assenso del leader-fondatore, evidentemente titillato dall’idea di rimanere simbolo egli stesso del partito.
Anche nel documento-verbale sull’esecutivo del 22 giugno, pubblicato sul sito Idv, la faccenda del simbolo è scomparsa nella nebbia. Ma in fondo è una storia vecchia, come ci conferma un parlamentare dell’Idv: «Sono anni che dice di togliere il suo nome, ma mica lo fa. Lo dice così per fare scena, è fatto così, ma poi non cambia niente. Lo conosciamo noi».
Sparizioni a cui Di Pietro ha abituato i suoi aficionados, peraltro. Ricordate la vicenda dello statuto Idv, cambiato non si sa bene come nel gennaio di quest’anno? Come lo cambiò, sì, ma senza dire che lo aveva fatto da solo senza nessuna autorizzazione dal partito. Il Giornale scovò l’atto notarile che dimostrava la gestione personale dello statuto, atto che Di Pietro non aveva mai voluto pubblicare sul sito internet. Adesso, due mesi dopo la nostra inchiesta, quell’atto compare sul sito Idv. Anche qui sparizioni e apparizioni. Come anche per l’immunità parlamentare europea, che prima Di Pietro ha chiesto (per una causa di diffamazione intentata quando era eurodeputato), poi ha detto di volersene privare, e che infine però ha chiesto per davvero. Abracadabra.
Il simbolo dell’Idv, dunque, rimarrà tale e quale. E questo non fa ben sperare sull’esito della rivoluzione «democratica» dentro l’Idv. Anche il congresso dell’anno prossimo, che eleggerà presidente e tesoriere dell’Idv, sembra un film dal finale già visto.

Perché il regolamento congressuale sarà scritto da un comitato, il «Comitato per il congresso», composto da suoi uomini di fiducia. I delegati così eletti dovranno quindi votare a primavera prossima (ovviamente senza primarie) il candidato alla presidenza del partito. Ci sentiamo in grado di fare una previsione: scommettiamo che sarà Di Pietro?

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