Miró, l’arte colorata e gioiosa di un pessimista solitario

Un’antologica romana esplora il profondo rapporto con gli oggetti e la natura

«Una zappa o un forcone intagliati bene dai contadini sono cose molto importanti per me». Il rapporto che legò Miró alla terra è fortissimo e sempre ribadito dall’artista e dalle sue opere. A venticinque anni dall’ultima grande rassegna italiana su Miró, Palazzo dei Diamanti di Ferrara raccoglie ottanta opere tra dipinti, disegni, collage, sculture, che narrano la profonda fedeltà dell’artista alle sue radici, nei soggetti, nei materiali, nei colori, nella stessa ciclicità dei temi. Il senso ampio e gioioso della libertà, l’arte come possibilità assoluta; creare tutto, senza più limiti, la curiosa e divertita sperimentazione di tecniche nuove: per questo è facile amare Miró.
Conterraneo di Goya e di Picasso, si cimentò in tutte le tecniche incisorie, le innovò e ne inventò di nuove, dal bulino alla punta secca, dall’acquaforte all’acquatinta, dalla xilografia alla vernice molle. La sperimentazione è sprone verso una scoperta continua che deve soddisfare il suo desiderio di libertà. Da una serie all’altra l’artista esce ed entra in sistemi di segni che si rincorrono, proseguono, maturano e si esauriscono, come se avesse troppo da dire in una opera sola.
Come tutti i grandi, Mirò sfiorò le correnti senza mai appartenere a nessuna. Antica e nuova insieme, legata e slegata dalla realtà ma ripiena di echi e di memorie, la sua arte sfuggì tutti i movimenti, tranne il breve momento di avvicinamento al surrealismo. Il rapporto con la natura, come si vede bene a Ferrara, scorre con costanza, senza interruzioni. A trent’anni scrive: «Sono riuscito a liberarmi del tutto della natura e i miei paesaggi non hanno nulla a che vedere con la realtà esterna». Il legame con la natura, dalla terra al cielo, dai sassi alle donne, è talmente interiorizzato da cancellare i confini tra realtà e sogno.
Quando abitava a Palma di Maiorca, dove si trasferì stabilmente dal 1956, tutte le mattine passeggiava in riva al mare e si chinava per raccogliere quel che le onde avevano portato a riva. Arrivato nel suo studio ordinava le cose che aveva raccolto e le osservava a lungo. «Per me è sempre una storia di recupero, dal momento che non si scopre mai nulla nella vita... Ovunque si trovano il sole, un filo d’erba, le spirali della libellula. Il coraggio consiste nel restare nel proprio mondo, vicino alla natura che non prende in considerazione i nostri disastri...».
Miró era un lavoratore indefesso. Entrava in studio alla stessa ora ogni mattina e ne usciva la sera senza vedere nessuno. Non era un ottimista, eppure la sua arte sembra essere l’opposto e lui lo sapeva. «Se c’è qualcosa di umoristico nei miei dipinti, non l’ho cercato coscientemente. Questo umore deriva forse dal fatto che sento la necessità di sfuggire il lato tragico del mio temperamento».

Di qui nascono gli uccelli, le stelle, i fiori, i soli, i gialli, i rossi, l’immenso brulicare che sorge sul crinale sottile tra la realtà e l’irrealtà e attira in un mondo dove svelamento e nascondimento danno origine a un movimento continuo. Quasi a voler occultare gli umani «disastri».
LA MOSTRA
«Miró: la terra». Ferrara, Palazzo dei Diamanti. Fino al 25 maggio. Catalogo Ferrara Arte. Info: 0532-244949.

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