Il mistero Olof Palme le molte ipotesi di un delitto perfetto

Chi ha ucciso Olof Palme in quell’ormai lontano 28 febbraio 1986? Al culmine della carriera politica, premier svedese, mediatore delle Nazioni Unite per il conflitto Iran-Irak (e candidato a succedere a Pérez de Cuéllar alla carica di Segretario Generale), vicepresidente dell’Internazionale socialista, pacifista impegnato nella distensione fra i blocchi e leader internazionale assertore del non allineamento, Palme trovò la morte per mano di un assassino che ancora oggi è senza volto. Uscito da un cinema in pieno centro di Stoccolma poco dopo le 23, in compagnia della moglie si apprestava a raggiungere a piedi l’abitazione, quando venne avvicinato da un uomo e freddato con due colpi di P38 sparati a bruciapelo. L’assassino ebbe modo di allontanarsi indisturbato.
Stupisce che un primo ministro fosse così facilmente avvicinabile, ma di questo Palme faceva un tratto distintivo. La sera in cui venne ucciso aveva raggiunto il cinema in metropolitana e un giorno, mentre stava raggiungendo l’aeroporto a bordo dell’auto ministeriale, bloccato da un guasto decise, per non perdere l’aereo, di proseguire in autostop fra lo stupore della scorta e dei connazionali che lo raccolsero.
Ciononostante era un leader politico con molti nemici. All’interno del suo Paese era molto odiato da coloro che vedevano in lui un fautore del collettivismo sovietico attraverso il piano Meiden, inteso a superare l’economia di mercato; sulla scena internazionale il suo neutralismo era, per molti versi, a senso unico, sempre proiettato a criticare la politica americana e a stringere i rapporti con i vari movimenti progressisti ed eversivi presenti nel Terzo Mondo; infine, nonostante l’immagine pubblica, chi lo conosceva di persona garantiva fosse freddo, superbo e sfrontato.
Esce in questi giorni la prima biografia italiana di Olof Palme, Vita e assassinio di un socialista europeo (Editori Riuniti, pagg. 224, euro 15) di cui è autore Aldo Garzia, che prende le mosse proprio dalle vicende dell’assassinio. Le indagini dimostrarono subito enormi difficoltà a venire a capo di quello che, da subito, sembrò un delitto perfetto. L’unico a finire sotto processo fu un tal Christer Pettersson, uno sbandato alcolista con inclinazioni naziste, che, per la delazione di un conoscente, venne accusato del crimine. La moglie di Palme lo riconobbe e, in primo grado, venne condannato all’ergastolo, ma poi assolto in appello per insufficienza di prove (morto nel 2004, pochi mesi prima sfidò gli inquirenti dichiarando di essere l’assassino, ingiungendo loro di trovare l’arma del delitto, se ne erano capaci).
Le ipotesi investigative, nel tentativo di dare una risposta al classico quesito Cui prodest?, hanno tuttavia percorso sentieri ben più suggestivi. Una prima pista portava al Pkk, il Partito comunista curdo capeggiato da Abdullah Öcalan, a cui era stato negato l’asilo politico nel 1983 e, pochi mesi prima dell’assassinio, il visto d’ingresso in Svezia, in quanto Palme non voleva avere imbarazzi in relazione al suo ruolo di mediatore Onu del conflitto Iran-Irak. Non mancava naturalmente l’ipotesi dell’omicidio passionale, così come la pista che portava alla Cia, in connubio però con la P2 di Licio Gelli, che, tre giorni prima del delitto, spedì un telegramma ad un politico repubblicano in cui si diceva «Dite al vostro amico che l’albero svedese sarà abbattuto». Una bufala? Chissà.

In ogni caso, se le autorità svedesi non saranno in grado di dare una riposta a questo interrogativo e ai molti altri ancora aperti, entro il 2011, ovvero a venticinque anni dal crimine, saranno costrette a dichiarare la prescrizione dell’assassinio di Olof Palme.

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