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Mona Hatoum: quando la casa è un incubo

A Ferrara l’allarmante ambiguità degli oggetti

Qualcuno cammina a piedi nudi, ma il suo passo è impacciato e reso meno spedito da due pesanti scarponi neri, allacciati alle caviglie. Le calzature seguono le orme dei piedi, come un doppio. È la documentazione video di Roadworks, performance del 1985 di Mona Hatoum, artista nata a Beirut nel 1952, ma che vive a Londra dallo scoppio della guerra civile in Libano. Sembra la metafora di una condizione nomade che si trascina tuttavia dietro le proprie radici.
Una mostra di circa cinquanta opere di Mona Hatoum è a Palazzo Massari di Ferrara, a cura di Lola Bonora nell’ambito della XIII Biennale Donna. La sua opera verte sul tema dell’identità. Uno dei primi lavori dell’83 mostra la bocca dell’artista tappata da mani maschili mentre una voce continua a ripetere «So Much I Want to Say». Measures of Distance (1988) è il lavoro più autobiografico: in un video la madre dell’artista è sotto la doccia, mentre sul corpo appare in trasparenza un testo in lingua araba. L’artista legge con timbro monocorde le lettere alla madre cui si sovrappone l’audio di una conversazione in arabo. Nello stesso anno Hatoum realizza Over My Dead Body, scritta che campeggia su un cartellone pubblicitario. Un minuscolo ma aggressivo soldato armato scala il gigantesco profilo dell’artista che lo guarda corrucciata: un corpo a corpo, ma anche il corpo come un territorio invaso sul labile confine della pelle.
Durante la formazione londinese era nato l’interesse della Hatoum per il minimalismo che si riflette nell’aspetto formale di molte opere successive, sempre coniugato a contenuti sociali. Socle du monde (1991) è un omaggio al cubo minimalista e alla base rovesciata di Piero Manzoni, un altro riferimento è il Surrealismo. Come gran parte dell’arte contemporanea gli oggetti di Mona Hatoum sembrano aver origine dai ready made aidé, gli oggetti bell’e fatti ma modificati di Marcel Duchamp. Jardin public, un triangolo di peli pubici sul sedile di una sedia da giardino è un omaggio al Magritte di Le Viol.
In seguito, mestoli, grattugie e scolapasta cominciano a popolare l’opera di Hatoum, innocui e minacciosi insieme. Il tema della casa appare centrale con tutta la sua allarmante ambiguità. Una grattugia (Dormiente, 2008) diventa un letto in cui nessuno troverà mai riposo.

In un lettino da bambini le assi sono sostituite con sottili fili da affettatrice: dal connubio di due innocenti oggetti domestici nasce un agghiacciante ibrido.
LA MOSTRA
Mona Hatoum. Ferrara, Palazzo Massari, corso Porta Mare 5. Fino al 1 giugno. 0532-244949

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