La monarchia decaduta

È una figuraccia storica. E un grande danno economico. Non siamo riusciti ad aggiudicarci gli europei del 2012: con una votazione schiacciante - 8 a 4 - ha vinto l’accoppiata Polonia-Ucraina. Tra un Paese - calcisticamente parlando - nobile, nobilissimo, tra i più nobili al mondo ma vecchio e due Paesi assai plebei, plebeissimi (i palmarès internazionali non sono neppure lontanamente paragonabili) ma dove tutto è - o dovrebbe essere - in fase di rinnovamento per gli sconvolgimenti politici seguiti alla caduta del muro di Berlino e, per la Polonia, al recente ingresso nella Ue, sono stati scelti questi ultimi.
Calciopoli, stando alle notizie che abbiamo, non c’entra. L’Italia paga la violenza che il calcio genera troppo spesso (l’omicidio dell’ispettore Raciti, il linciaggio di Licurzi, le manganellate di Roma-Manchester) e, soprattutto, il fatto di non aver saputo trasmettere chiari e inequivocabili messaggi di cambiamento e di rinnovamento. Quando lo scandalo che ha travolto la Juve venne fuori (meno di un anno fa) tutti dissero che bisognava dare un taglio al passato, che il pallone azzurro doveva essere ristrutturato dalle fondamenta al tetto, che su e che giù e bla, bla, bla. Parole mai seguite dai fatti. Chi rappresentava il calcio italiano a Cardiff? Abete, Matarrese e Carraro. Negli ambienti del calcio internazionale sono conosciuti quasi dai tempi di Jules Rimet, tra i padri fondatori della Fifa. Abete e Matarrese garantiscono che la fase di rinnovamento, avviata in qualche modo da Pancalli, sarà inarrestabile. Può darsi, ne prendiamo atto e ci speriamo. Ma la laurea in rinnovamento potranno sfoggiarla soltanto a lavori ultimati. A lavori in corso, cioè oggi, loro sono e restano il vecchio che avanza. Il dato di fatto è che nella Fifa e nell’Uefa oggi contiamo meno di Malta. Troppo impegnati nelle lotte di potere interno, nella conquista di poltrone e poltroncine siamo rimasti completamente sguarniti sul fronte internazionale. I risultati si vedono.
L’ultima colpa - ma non certo la meno importante - che l’Italia ha pagato a Cardiff è tutta politica. È, cioè, la mancanza totale di una politica dello sport, di un vero appoggio politico allo sport, di un interesse costante e concreto verso i problemi dello sport. La ministra Melandri è una signora carina e garbata che però, nello sport non riesce, almeno non c’è riuscita finora, ad andare oltre una presenza carina e garbata. E le passerelle del premier con i campioni del mondo o con le medaglie d’oro non sono niente di più di una foto ricordo da mettere sulle pareti delle varie federazioni.
Il calcio e lo sport in genere sono diventati una vera e propria industria, muovono miliardi di euro, sono un volano incredibile per il turismo. Dovunque nel mondo ci si adegua a questa realtà: nascono nuovi stadi, nuovi impianti, nuove strutture. Guardate, ad esempio, che cosa stanno facendo a Pechino per la prossima Olimpiade. Dovunque, tranne che in Italia. Qualcosa si sarebbe sicuramente fatto se ci fossimo aggiudicati gli europei, ed è questo il risvolto più amaro della sconfitta di Cardiff.
Nonostante tutto ciò siamo andati in Galles sicuri della vittoria.

Con quella prosopopea da vecchio principe che non si è ancora accorto che la monarchia è caduta. Siamo l’Italia, siamo i campioni del mondo, che vogliono Polonia e Ucraina? Volevano gli europei 2012, come noi. Li hanno avuti loro.
Sergio Rotondo

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