Il celebre linguista e saggista Noam Chomsky, pensatore da sempre inserito nel pantheon dell'Intelligentia anarco-progressista, si scopre critico della sinistra "woke" e identitaria emersa da alcuni anni dal mondo anglosassone e diffusasi in tutto l'occidente. Quella sinistra ossessionata dalle minoranze, dalle istanze dei piccoli gruppi identitari, dall'ideologia gender che brandisce il politicamente corretto e la cancel culture come sua arma ideologico-politica. L'intellettuale statunitense, famoso anche per le sue feroci critiche alla politica estera statunitense e ai media, intervistato dal quotidiano Domani, ha parlato della deriva della politica identitaria. Che non riguarda però solo la sinistra: "Quello di cui stiamo parlando non è proprio la sinistra, è più che altro quello che viene definita politica identitaria”. La forma più grande e potente di politica identitaria è la supremazia bianca. È quella che supera tutte le altre messe insieme, ma è sempre stata considerata naturale, quindi non ci si è preoccupati di parlarne" afferma Chomsky.
"La sinistra si preoccupava di problemi di classe"
Per l'accademico 93enne, tuttavia, la "sinistra" non è quella ossessionata dalle minoranze. È quella che, un tempo, guardava alle diseguaglianze socio-economiche. Alla, per usare un'espressione oramai ammufita, cara vecchia "lotta di classe". "Le persone si possono definire come vogliono", spiega, "ma la sinistra tradizionale si preoccupava di problemi di classe. È vero che tante persone che hanno idee progressiste su temi politici e così via, si preoccupano anche dei diritti delle donne, dei diritti delle minoranze e così via". Tuttavia, "quel tema particolare della politica identitaria è sostanzialmente distaccata dalla sinistra" e la ragione ovvia è "guardare alle forme principali di politica identitaria". Le forme principali sono, ancora, sottolinea Chomsky, "prepotentemente la supremazia bianca e quella maschile. Si tratta di politica identitaria reale, potente. Non la notiamo perché la diamo per scontato. Ma non è un argomento. È vero. È un problema profondo".
Per il linguista, la cancel culture "èendemica nella nostra società. Esiste da quando ne ho memoria: nel mondo accademico, nel mondo dell’editoria, ovunque". Se di qualcuno non apprezziamo i punti di vista, spiega, "non bisogna cacciarlo dal campus. Non si interrompono i suoi incontri. Non si vandalizza il suo ufficio. Non gli si mandano minacce di morte. Si lascia che venga nel campus e che parli. Ho creduto in questo da sempre, ed è stata una vita solitaria per questo motivo".
La politica identitaria vista dagli studiosi
Altri studiosi come Francis Fukuyama e Mark Lilla hanno posto, prima di Chomsky, dei rilievi critici autorevoli circa la politica dell'identità. Lilla, nel suo saggio di qualche anno fa L'identità non è di sinistra. Oltre l'antipolitica (Marsilio) parlava apertamente del "panico morale su razza, genere, identità sessuale che ha distorto il messaggio del liberalismo e impedito che divenisse una forza unificante". Anziché rafforzare il concetto di comunità, infatti, il progressismo identitario divide la società in tribù e minoranze in costante competizione fra loro, senza peraltro apportare alcun vantaggio specifico alle minoranze interessate da questo nuovo catechismo ideologico in salsa politically correct.
Francis Fukuyama, dal canto suo, nel suo saggio Identità. La ricerca della dignità e i nuovi populismi (Utet), scrive che "il problema con la sinistra odierna sta nelle particolari forme di identità che questa ha deciso sempre di più di esaltare.
Anziché costruire solidarietà attorno a vaste collettività come la classe operaia o gli economicamente sfruttati, si è concentrata su gruppi sempre più ristretti che si trovano emarginati secondo specifiche modalità". Questo si traduce di una vera e propria crociata politicamente corretta e in un approccio puramente ideologico su questioni che riguardano le minoranze, il genere, la razza, il sesso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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