"Ci hanno puntati per due volte". Giallo sugli spari talebani contro l'aereo italiano

Le testimonianze a bordo del C-130 che ieri ha lasciato Kabul parlano di momenti di panico nelle prime fasi del volo. La Difesa parla di due colpi sparati verso il velivolo. Ma l'intelligence smentisce: non volevano colpire noi

"Ci hanno puntati per due volte". Giallo sugli spari talebani contro l'aereo italiano

Il C-130J era decollato già da qualche minuto dall’aeroporto di Kabul. Avevo documentato la salita del velivolo dalla cabina di pilotaggio e avevo da poco posato il telefono al mio fianco per sistemarmi il giubbotto antiproiettile che mi pesava sulla spalla sinistra. I militari impongono di indossarli fino all’uscita dai cieli afghani, vista la situazione di rischio e warning arrivati poche ore prima. Lo avevo sentito con le mie orecchie dalla sala operativa: “Gli americani hanno lanciato un allarme per possibile attacco a uno dei gate. Vogliono uccidere qualche militare Usa”. Quando da tanti anni fai questo mestiere lo capisci che non è uno scherzo e che l’attacco è imminente. Poche ore dopo i fatti hanno dato ragione ai pronostici.

I colleghi giornalisti erano seduti dietro, chi sulle panche laterali dell’aereo, chi per terra con gli afghani. Accanto a me in cabina un membro dell’equipaggio col quale avevo parlato del più e del meno fino a poco prima. Improvvisamente l’ho visto sbiancare in viso e diventare serio. Ho sentito qualcuno dire “ci prendono”. Siamo letteralmente precipitati di molto, non saprei dire quanto, ma la sensazione era quella di cadere nel vuoto. Ho sentito gente che urlava, bambini che piangevano. Io mi sono stretta la croce che porto al collo tra le mani e ho pregato: “Gesù, ti prego, salvaci”.

La manovra dissuasiva

La pilota, Annamaria Tribuna, ha ripreso l’aereo con una fermezza e un sangue freddo da ammirare. Istintivamente mi sono stretta al braccio della persona che avevo vicino. Di nuovo siamo scesi e risaliti, con l’aereo che tremava. Stavolta per un tempo indefinito. Avevamo sotto le montagne afghane e ho pensato “ci schianteremo”. Dietro la gente è volata per due metri in aria, mi hanno raccontato dopo i colleghi. Quando siamo arrivati a una quota sufficientemente alta da considerarci fuori pericolo ho chiesto cosa fosse successo. Tremavo come una foglia e mi sono accorta di avere la mano ustionata. Non saprei dire come e dove ho sbattuto.

Mi hanno detto: “Ci hanno puntati per due volte”. La pilota ha confermato che il loadmaster in osservazione al finestrino posteriore dell’aereo aveva avvertito del primo colpo in arrivo. Lei e i colleghi Francesco Vergani e Riccardo Russo hanno messo in atto le misure difensive a cui sono addestrati, effettuando una manovra di “dissuasione”. In sostanza, abbiamo evitato i colpi. Ci hanno puntati per ben due volte e anche i sistemi di bordo hanno registrato l’arrivo del pericolo.

La versione dell’Intelligence

Fonti vicine alla Difesa ci fanno sapere che siamo stati presi di mira con colpi di Strela, un’arma portatile antiaerea, partiti dalle montagne. Ma c’è un giallo, perché secondo alcune agenzie italiane, fonti dell’Intelligence nostrana hanno fatto sapere che si sarebbe trattato di colpi lanciati dai talebani per disperdere la folla all’aeroporto.

Da chiedersi come dei colpi di mitragliatrice che al massimo possono raggiungere poche decine di metri possano raggiungere un aereo decollato da diversi minuti, già ad alta quota e sopra le montagne distanti decine di chilometri. Anche l’Aeronautica ha diffuso un comunicato chiarendo che l’obiettivo non era l’aereo. Ma in cabina di pilotaggio abbiamo visto e sentito altro. I colpi erano inequivocabilmente diretti verso il C-130J. Ho interpellato altre fonti della Difesa che fanno sapere: “Certamente l’Intelligence non ha voluto creare panico sia per i piloti che stanno esfiltrando chi è rimasto, sia per le famiglie a casa che attendono gli ultimi rimasti a Kabul che arriveranno domani in Patria, visto che l’ultimo aereo partirà questa sera con a bordo il personale italiano”.

Cosa certa, sempre secondo le fonti militari, è che “non miravano all’aereo della 46esima in quanto velivolo italiano. Miravano a un qualsiasi aereo militare e volevano buttarlo giù”. Per fortuna, grazie alla prontezza dei piloti, non ci sono riusciti.

Adesso qualcuno dovrà chiarire cosa sia davvero successo. Perché non è nascondendo la verità che cambia qualcosa. L’Afghanistan resta una terra dove si muore come mosche. E dove troppa gente è rimasta con la speranza di salire su un aereo che non prenderà mai.

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