"Così aiutavamo i prigionieri di Azovstal". Le missioni segrete degli ucraini

La resistenza degli ucraini all'interno dell'acciaieria Azovstal potrebbe essere stata aiutata dai rifornimenti della più potente Ong ucraina che avrebbe eluso i sistemi di sorveglianza russi: ecco com'è andata

"Così aiutavamo i prigionieri di Azovstal". Le missioni segrete degli ucraini

Quasi tre mesi all'interno dell'acciaieria Azovstal senza vedere la luce, in condizioni via via sempre più precarie di cibo, rifornimenti e costantemente bombardati e circondati dal nemico russo avrebbero stroncato chiunque. L'infinita resistenza del battaglione Azov, però, potrebbe aver visto brevi momenti di "respiro" grazie all'arrivo di aiuti esterni che riuscivano a eludere il controllo dei soldati di Putin. Sembra molto difficile da credere ma è quanto raccontato dal direttore di una Ong ucraina molto potente, Taras Chmut, che a Repubblica ha spiegato come si svolgevano le missioni segrete confermate un paio di giorni fa anche da Zelensky.

"Così abbiamo aiutato Azov"

La situazione di base era la seguente: oltre 100 chilometri di territorio controllato dai russi via mare, via terra e via cielo. Come sono arrivati e quali sono stati questi aiuti che hanno consentito una resistenza così lunga che, altrimenti, sarebbe probabilmente terminata molto tempo prima? "Fornivamo il materiale su specifica richiesta degli assediati, che comunicavano con noi online. Era trasportato via elicottero dall'aviazione militare. Piccoli droni, sistemi di sorveglianza, visori termici, radio - è il tipo di rifornimenti nel quale siamo specializzati ed è quello che i combattenti ci chiedevano", racconta Chmut. Anche in questo caso, quindi, alcune falle nel sistema russo che avrebbero permesso anche l'evacuazione di alcuni feriti all'interno dell'acciaieria.

Le missioni "segrete"

Non sempre è andata bene, però: il capo dell'Ong chiamata "Torna a casa vivo" (tradotto in italiano) racconta di numerosi elicotteri abbattutti e la morte di molti piloti tant'é che il 90% di loro "non tornava indietro". Negli 82 giorni di resistenza sarebbero state compiute ben 4 missioni ma anche lo stesso Chmut non conosceva a fondo tutti i dettagli perché coperti da segreto. "Le nostre hanno avuto tutte successo, altre non hanno raggiunto l'obiettivo", racconta al quotidiano italiano. Fa specie come un'area così ristretta e così ben controllata sfuggisse, a volte, al controllo dei soldati russi: anche in questo caso si evince la difficoltà dei russi nella guerra iniziata il 24 febbraio scorso, tre mesi oggi. Munizioni e armi anticarro al posto del cibo grazie ai droni quadricotteri, "decine di visori termici per vedere di notte, molte decine di sistemi radio di comunicazione e mirini termici, e anche accumulatori per l'energia elettrica. Dipendeva come ho detto dallo spazio sull'elicottero e purtroppo non era possibile caricare più roba", spiega il direttore.

La collaborazione con l'Ong

Ma questa Ong non è stata certamente creata per aiutare Azovstal, esiste già da alcuni anni e lavora in sinergia con l'esercito ucraino e altre agenzie.

"La nostra organizzazione è stata creata molto prima dell'invasione del 24 febbraio, va avanti da anni - conclude Chmut - non c'è nulla di incredibile perché siamo un'istituzione potente, che condiziona le operazioni militari. Il governo è interessato a cooperare con noi e noi con il governo. È più efficiente così".

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