Spagna, Gran Bretagna, Francia e Italia. Ovunque la sinistra europea è in forte, fortissima crisi come dimostrano i risultati delle elezioni spagnole e del referendum inglese sulla permanenza nell’Ue. Sembra passato un secolo dal settembre 2014, quando il premier Matteo Renzi alla chiusura della Festa dell’Unità di Bologna saliva sul palco insieme al premier francese Manuel Valls, al leader del Psoe Pedro Sanchez e ai meno conosciuti Diederik Samsom (capo dei laburisti olandesi) e Achim Post (segretario della Spd), tutti rigorosamente in camicia bianca come vuole lo stile renziano.
A guardala oggi quella foto sa di già di stantio. All’epoca il premier Renzi era “fresco” di vittoria elettorale alle Europee, mentre solo una settimana fa è uscito con le ossa rotte dopo la sconfitta alle Comunali. Soltanto, ieri, il Psoe di Pedro Sanchez ha subìto la seconda sconfitta alle Politiche nel giro di pochi mesi. Se, da un lato, infatti, è vero che il partito socialista spagnolo è riuscito per un soffio a non farsi scavalcare da Podemos, dall’altro lato ottiene 5 deputati in meno rispetto alle precedenti elezioni, che avevano già segnato il peggior risultato di sempre. La crisi della sinistra spagnola è drammatica perché Podemos di Pablo Iglesias ha fallito l’obiettivo di diventare lo Tsipras spagnolo, mentre il Psoe riceve continue sollecitazioni ad accettare di formare un governo con i popolari di Mariano Rajoy ma le larghe intese non sono una consuetudine per la penisola iberica. Il rischio per il Psoe di perdere consensi facendo parte di una ‘grande coalizione’ è concreto e il timore di intraprendere una china pericolosa come i greci del Pasok o i tedeschi dell’Spd mette in allerta i socialisti spagnoli. D’altro canto, in Grecia, non se la passa bene nemmeno il ‘duro e puro’ Alexis Tsipras che il 15 giugno si è trovato le piazze di Atene stracolme di persone che protestavano contro le misure di Austerity adottate dal suo governo.
Anche Parigi per alcune settimane è stata il teatro di scioperi e di forti proteste contro il ‘jobs act’ del premier Valls che vede in Renzi un modello da imitare. Tra un anno ci saranno le presidenziali e Francois Hollande potrebbe seriamente restare escluso persino dal ballottaggio e Marine Le Pen potrebbe prendere il suo posto. Una vittoria dei lepenisti aprirebbe la strada anche in Francia a un referendum sulla permanenza nell’Unione Europea. Referendum che ha messo in ginocchio il Labour di Jeremy Corbyn, accusato dal gotha del suo partito di non essersi speso abbastanza per la vittoria del ‘Remain’ e 11 membri del suo governo ombra si sono dimessi. Corbyn non intende mollare ma la sua strategia di non sporcarsi le mani per far fallire David Cameron non ha prodotto i frutti sperati. Ora sono in molti a volere la sua testa, soprattutto i blairiani, ansiosi di riprendere la guida di un partito uscito a pezzi dopo le ultime elezioni amministrative. Nella ‘rossa’ Scozia il Labour ha avuto una vera e propria debaclé e quella sconfitta è stata attenuata solo dalla vittoria a Londra di Sadiq Khan, apparso a comizi ‘pro Remain’ insieme a Cameron e talmente dispiaciuto per il risultato da scrivere su Facebook un messaggio agli europei: “Siete i benvenuti”. Il vento anti europeo è soffiato recentemente anche in Austria dove i socialisti sono rimasti esclusi dal ballottaggio delle ultime elezioni presidenziali.
Ballottaggio vinto per soli 31mila voti dal candidato indipendente dei Verdi, Alexander Van der Bellen, che ha sconfitto Norbert Hofer, leader del partito di estrema destra Fpo, che di recente ha chiesto il riconteggio delle schede. Dalla Gran Bretagna dell’Ukip alla Francia del Front National la ‘cosiddetta estrema destra’ avanza, mentre i socialisti arretrano ovunque non capendo che il sogno europeo è diventato un incubo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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