Il delirio del terrorista islamico: "I video delle esecuzioni? Come guardare Netflix"

Interrogato dai giudici a Parigi Mohamed Abrini, il terrorista belga di origini marocchine coinvolto negli attentati del Bataclan e di Zaventem, giustifica uccisioni e stupri: "Quello che per voi è radicale, per me è l’Islam normale"

Il delirio del terrorista islamico: "I video delle esecuzioni? Come guardare Netflix"

"L’Islam insegnato dal profeta non è compatibile con la democrazia". Le parole di Mohamed Abrini, il jihadista belga di origini marocchine accusato di essere coinvolto negli attentati del Bataclan e dell’aeroporto di Zaventem, risuonano nell'aula dell'ex Palazzo di Giustizia di Parigi. È qui che lo scorso settembre si è aperto il processo per gli attentati del 13 novembre 2015 in cui persero la vita 130 persone. Gli imputati alla sbarra sono venti. Tra loro c’è Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto del commando che fece strage alla sala concerti del boulevard Voltaire, allo Stade de France e in diversi bar e ristoranti della capitale francese. È risultato positivo al Covid e per questo il suo interrogatorio è stato rinviato.

Nel frattempo, ad essere ascoltato dal presidente della Corte speciale, Jean-Louis Périès, è il 37enne amico di infanzia di Salah, che accompagnò il carnefice del Bataclan a Parigi per compiere il massacro. Per i giudici non è affatto una figura di secondo piano. Oltre ad essere stato complice dei fratelli Abdeslam negli attentati di Parigi è accusato di far parte anche della cellula che organizzò l’attacco del 22 marzo 2016 all’aeroporto di Bruxelles Zaventem, dove morirono 32 persone. È il "terzo" terrorista, quello ripreso dalle telecamere di sicurezza mentre si allontana dai terminal con un cappello in testa, arrestato l’8 aprile dello stesso anno ad Anderlecht, poco fuori la capitale belga. Non a caso, quindi, come sottolineano i media francesi, è in cima alla lista delle persone da interrogare.

Non si pente di nulla Abrini, anzi. È un fiume in piena e si lancia in un vero e proprio sermone. "La sharia – predica – è la legge divina ed è al di sopra della legge degli uomini". E se fosse libero, aggiunge, andrebbe a vivere "in un Paese dove viene applicata la legge islamica". "Quello che per voi è radicale, per me – incalza – è l’Islam normale". Originario di Berchem-Sainte-Agathe, una di quelle periferie di Bruxelles dove Mohammed è il primo nome all’anagrafe, prima di diventare un terrorista entra ed esce di galera per piccoli furti e reati comuni. Fuma cannabis, beve, va in discoteca e gioca al casinò. Ogni tanto lavora come tecnico o cameriere.

Frequenta tutti i giorni il bar Les Béguines di Molenbeek gestito dai fratelli Abdeslam, che allora erano interessati solo al traffico di droga. È qui che conosce quello che sarà il coordinatore degli attacchi del 13 novembre, Abdelhamid Abaaoud, assieme ad un altro jihadista, Ahmed Dahmani. "All’epoca (nel 2014) – ha raccontato rispondendo alle domande di Périès – ogni giorno c’era un nuovo video di propaganda". "È come per i giovani che seguono le serie su Netflix, vogliono conoscere cosa succede dopo". Peccato che, nel caso specifico, si trattasse di filmati di esecuzioni. Sono 6.628 le immagini di propaganda radicale rinvenuti dagli inquirenti sul suo cellulare.

Nello stesso anno, il 2014, mentre è in carcere scopre che il fratello minore, Souleymane, partito per combattere in Siria sotto le bandiere dello Stato Islamico, è stato ucciso. A quel punto Abrini inizia a frequentare le moschee, a leggere il Corano. Si radicalizza. Pensa che dovrebbe arruolarsi anche lui per combattere gli infedeli. Ed in Siria ci va davvero, dal 23 giugno al 9 luglio del 2015, qualche mese prima di accompagnare i fratelli Abdeslam a Parigi per uccidere in nome di Allah. È lui ad ammetterlo davanti ai giudici nel nuovo interrogatorio che si è tenuto lo scorso 12 gennaio.

"È andato lì per combattere un regime corrotto, quello di Bashar al Assad", dice a proposito di suo fratello. Non importa se la brigata di cui faceva parte è stata protagonista di crimini efferati, anche contro i civili: "È la guerra, è così, è un dovere di tutti i musulmani fare la jihad". "La jihad – continua a giustificarsi – fa parte dell’Islam. È un dovere proteggere gli oppressi. La jihad è un dovere per tutti i musulmani, anche se si trasforma in guerra di conquista". "Quelli che si fanno esplodere sono una risposta ai bombardamenti". "Al punto da prendersela con le persone che siedono nelle ‘terrasse’ o cha ascoltano un concerto?", obietta il presidente della Corte.

"La guerra è così, – prosegue Abrini – ci sono state delle decapitazioni anche in Francia. Voi stessi avete decapitato il vostro re". Anche lo stupro delle donne yazide per il terrorista condannato all’ergastolo non è da biasimare. "Voi lo chiamate stupro, ma è una cosa che succede in tutte le conquiste. Quando si tratta di Alessandro Magno o di Napoleone, gli storici li chiamano programmi di natalità. Io accetto tutto questo, come voi accettate tutta la storia francese, con le sue pagine luminose e le sue pagine buie".

Quando il presidente gli chiede se è necessario farsi esplodere per uccidere il maggior numero possible di infedeli, come ha scritto nel suo giuramento di fedeltà allo Stato Islamico, Abrini dice di non essere capace di farlo. "Ma sono pronto a prendere le armi, – aggiunge – ad andare a combattere.

Gli attentati sono la risposta ad una violenza". "Non ho ucciso nessuno, non ero in Francia", è però la sua difesa. Una frase ripetuta fino all'ossessione durante tutta l’udienza. Per le stragi, però, nessuna parola di condanna. E per le vittime, nessuna pietà.

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