È sempre un terreno minato quello che vede notizie riguardanti Benito Mussolini e relativi pensieri o commenti; ma se il marito dell'autrice del documentario del 2014, The Woman who shot Mussolini (La donna che sparò a Mussolini, ndr) può abbandonarsi ad affermare: "Finalmente, la donna che sparò a Mussolini avrà il riconoscimento che merita. Un uomo, al suo posto, avrebbe da tempo una statua in suo onore"; è lecito rispondere che non ci risulta che il tentato assassinio - seppure di un dittatore - sia gesto tanto nobile da meritare una targa, o addirittura una statua. E per tale conclusione basta risalire al fatto storico non particolarmente noto alle cronache.
Dublino, 1922. Mentre nel Regno d'Italia l'ex agitatore, giornalista e fervente socialista, Benito Amilcare Mussolini si prepara a marciare su Roma insieme ai quadrumviri e alle camicie nere per diventare il futuro Duce del Fascismo; una donna irlandese, Violet Gibson, è vittima di un grave esaurimento nervoso che si manifesta attraverso evidenti disturbi mentali in via di peggioramento. La Gibson, che all'epoca ha già quarantotto anni, conduce una vita monacale ed è convinta di parlare con il Signore, che a dir suo pare averle affidato un singolare compito in terra: compiere un sacrificio "uccidendo qualcuno". Trasferitasi a Roma presso un convento, la visionaria decide di prendere in parola le voci che la invitano a uccidere in nome di Dio, e nel 1925 prova a suicidarsi sparandosi al petto senza riuscire nel suo intento. Salva per miracolo e non contenta, l'anno seguente sceglie un obiettivo decisamente ambizioso per consumare la mattanza divina: vuole uccidere il Duce.
Così il 7 Aprile 1926 si presenta in Piazza del Campidoglio, attende che Mussolini esca dall'edificio dopo aver presenziato ad un convegno con un’associazione di chirurghi, sfodera un vecchio revolver di fabbricazione francese - una St Etienne 1892 che tiene nascosta sotto la sua veste nera - e confondendosi tra la folla spara un colpo ben mirato che sfiora il Duce, ferendolo al naso. Pare che Mussolini, notato l'agguato, si sarebbe "scansato" all'ultimo momento. La Gibson premerà il grilletto altre due volte, ma sia il secondo che il terzo colpo fanno cilecca. Il vecchio revolver, forse un souvenir del primo conflitto mondiale, si era "inceppato". La polizia presente sul posto la arresta prima che venga linciata dalla folla che in quel momento ancora stravede per Mussolini. Secondo quanto riportato dai rapporti dell'epoca la donna dirà agli inquirenti di aver provato ad ucciderlo "per glorificare Dio" che le aveva "inviato un angelo". Verrà immediatamente estradata in Inghilterra, "a condizione di non venir mai rilasciata", e internata nell’ospedale psichiatrico di St Andrews a Northampton, dove troverà la morte nel 1956. Inutili saranno le lettere richiedenti la "grazia" inviate negli anni al primo ministro Winston Churchill e alla futura Regina Elisabetta - che nonostante lo scoppio della guerra combattuta su più di un fronte con l’Italia, onorarono la parola data o forse ignorano le farneticazioni di una donna che molti allora ritenevano "pazza".
Ora che però i tempi sono cambiati, mentre a Londra imbrattano la statua di Churchill tacciandolo di razzismo e in America decapitano le statue di Cristoforo Colombo, qualcuno a Dublino crede sia giunto il momento giusto per riabilitare la figura dell'assassina mancata. Dedicandole una targa commemorativa per essere stata, citiamo testualmente, la persona che si è avvicinata di più ad attentare alla vita di Mussolini (se tralasciamo i partigiani della Brigata Garibaldi che lo fucilarono e poi lo appesero per i piedi a Piazzale Loreto, ovviamente), e che per questo "non può essere dimenticata".
Ad affermarlo è stato infatti Mannix Flynn, consigliere regionale di Dublino che ha presentato la mozione per la targa commemorativa, senza mancare l'occasione porre l'accento sulla natura femminile dell'atto: "Come capitato a molti autori di gesti straordinari, soprattutto se donne, Gibson è stata dimenticata dall’establishment britannico e irlandese. Col tempo diventata una pazza da nascondere. Ma adesso basta". Un'affermazione che potrebbe tranquillamente appartenere ad una presunta sciroccata come la Gibson. Figura che fino a prova contraria ha solo tentato di uccidere il capo politico di una potenza straniera nel quarto anno del governo (seppur dittatoriale) da lui istaurato.
Certo, è vero che se i colpi sparati dal revolver impugnato dalla "tiratrice divina" fossero andati a segno, sarebbe certamente cambiato il corso della storia. Ma lo stesso potremmo dire di Churchill: se nel 1899, durante la seconda guerra anglo-boera, il volontario italiano Camillo Riccardi non gli avesse reso salva la vita, forse non avrebbe ordinato con tanta veemenza la completa distruzione di città come Dresda nel 1945: incenerita insieme a buona parte dei suoi abitanti dalla famigerata "tempesta di fuoco". Forse avremmo dovuto o potuto auspicare anche l'avvelenamento del caffé di Harry Truman da parte di una delle sue domestiche: magari non avrebbe firmato l'ordine per sganciare le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. E ci saremmo risparmiati la Guerra fredda. O ne avremmo guadagnata un'altra "calda".
O forse ancora avremmo dovuto sperare nell'infanticidio da parte di madre o di padre dell'anarchico serbo-bosniaco Gavrilo Princip: senza l'attentato ai danni dell'arciduca Francesco Ferdinando e di sua la moglie Sofia, non sarebbe esistito l'arcinoto casus belli che portò l'Europa e il mondo nell'inferno della Grande Guerra: quel prodromo di morte, vendette, malcontenti e revanscismi che gettarono le basi per l'ascesa di oscure dittature. E via dicendo, via dicendo, tra la fantascienza, la fantastoria, nell’inquietante necessità divenuta così à la page di celebrare il nulla rispolverando il niente.
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