Violenze e abusi sulle donne. Ecco l'orrore nei campi migranti

Donne e bambine vittime di abusi. Nell'hotspot di Samos non possono uscire da sole di notte: "Così viviamo nella paura"

Violenze e abusi sulle donne. Ecco l'orrore nei campi migranti

Samos, Grecia - "Mia mamma ha perso il suo bambino. Oggi". Le parole di Jala sono interrotte dal pianto. Nel silenzio del campo, le lacrime scorrono veloci sulle sue guance rosse fino a bagnare il terreno. Poi, con un gesto repentino, si asciuga il volto e continua a parlare: "Viviamo nella 'giungla', qui non siamo al sicuro. Abbiamo tanta paura". Jala ha solo 14 anni e con la sorella minore e la madre è arrivata da pochi giorni a Samos. Un viaggio lungo mesi che dall'Iraq le ha fatte sbarcare alle porte dell'Europa. Quella che dovrebbe proteggerle, ma che invece le lascia sole in una foresta.

E come loro sono abbandonate a sé stesse altre 5mila persone. Nel campo profughi, costruito dal governo greco con i finanziamenti dell'Ue, non c'è spazio per tutti. Ci sono solo 648 posti. Tutti gli altri migranti hanno così costruito un enorme accampamento nella foresta intorno all'hotspot. Una distesa di tende colorate e baracche improvvisate dove giovani, donne e bambini vivono in pessime condizioni. "Nella 'giungla' non c'è elettricità né acqua corrente, nessun bagno o posto dove lavarsi", denuncia Rebecca Holst Fredslund, operatrice di Samos Volunteer. In questo stato i migranti restano bloccati anche due anni, fino a quando l'intervista per la richiesta d'asilo non permette loro di raggiungere Atene. Così non resta altro che aspettare, cercando di sopravvivere a fame, freddo e maltrattamenti (guarda qui il video).

"Essere una donna in un luogo del genere è molto pericoloso", afferma Nicolò Govoni, fondatore della Ong italo-greca Still I Rise. "Diverse ragazzine sono venute a confidarci di aver subito molestie all'interno del campo". Vittime di uomini spietati, le donne vivono costantemente nel terrore. "Rappresentano un quarto della popolazione del campo - spiega Rebecca - per loro le condizioni qui sono davvero estreme. Appena cala il sole si chiudono nelle tende, hanno paura a camminare da sole la sera e ad andare ai bagni senza un accompagnatore". Gli unici servizi (si stima una doccia ogni 200 persone e i bagni insufficienti e spesso impraticabili) sono all'interno del campo ufficiale, distanti dalle tende. "Le docce sono lontane da qui. Ci sono sempre molte persone in fila che bussano alla porta intimando di uscire. Ci dicono: 'Voi vivete nella giungla, perché state qui?'", racconta una 14enne afghana.per loro le condizioni qui sono davvero estreme, le fa eco l'amica appena maggiorenne. La paura è il sentimento più grande che donne e ragazze sono costrette a vivere. "Durante il giorno vado al mare per allontanarmi da qui. Mi spaventa tutto del campo, vorrei scappare", sussurra Zahraa, giovane ragazza irachena.

Negli hotspot sulle altre isole dell'Egeo la situazione con cambia. A fronte di una capienza di 6.300 posti, oggi ci sono oltre 30mila migranti di cui il 22% sono donne. Molte di loro incinta. "C'è una ragazza laggiù che può partorire da un momento all'altro - spiega Aziz indicando una tenda blu tra gli alberi -. Nessuno è venuto ad aiutarla o a fare qualcosa". Raniya ha 18 anni e nel suo grembo porta due gemelli. È distesa per terra, su un sacco a pelo, e lì non può far altro che aspettare. "Sono stanca e malata - spiega -. Le condizioni sono al limite qui. Non posso muovermi dalla tenda dove di giorno fa tanto caldo e la notte si gela. Il medico mi ha dato appuntamento tra due mesi". Due mesi.

Oltre 5mila persone hanno infatti a disposizione solo due medici. "La lista d'attesa è lunghissima. Si deve aspettare come minimo un mese prima di essere visitati", racconta Aziz. E così uomini che portano addosso i segni della guerra, donne incinte e bambini piccoli devono solo attendere il loro turno. "Sono malata e il dottore non mi ha dato alcuna medicina. Mi ha solo detto di bere acqua e che tutto sarebbe andato bene", denuncia Jala. Ma dopo alcuni giorni le sue condizioni sono peggiorate. Chi ha urgenza si reca dai volontari: in città, a pochi passi dall'hotspot, associazioni come Med'EqualiTeam forniscono assistenza di base agli abitanti della "giungla". La fila all'esterno dell'ambulatorio si perde a vista d'occhio e di ora in ora i pazienti aumentano.

Intanto tra i migranti cresce la

frustrazione. Le donne si chiedono quando arriverà il loro momento per lasciare l'isola. "Qui non c'è alcuna possibilità - mormora malinconica Zahraa -. Sento che sto perdendo la mia gioventù senza potermi realizzare".

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