Migranti, l'inferno sotto gli occhi dell'Ue: 'Bimbi trattati da subumani'

A Samos oltre 1500 bimbi vivono senza acqua tra ratti e serpenti. Bruxelles sotto accusa: "Permette tutto questo"

Migranti, l'inferno sotto gli occhi dell'Ue: 'Bimbi trattati da subumani'

Samos, Grecia - Giocano con le loro biglie verdi lungo la strada che porta all’hotspot. Corrono, ridono e scherzano in gruppo. C’è chi viene dall’Afghanistan, chi dal Pakistan, altri sono invece siriani e africani. Per loro il campo è anche divertimento. Sono i bambini che vivono accampati nelle tende intorno all’hotspot di Samos. Il campo profughi, finanziato dall’Unione europea, può ospitare solo 648 persone, ma oggi sull’isola se ne contano oltre 5mila e più del 50% sono donne e bambini.

"Viviamo in pessime condizioni, senza cibo né acqua", racconta tra le lacrime la madre di due bambine piccole. Loro hanno due e tre anni e da qualche settimana la loro casa è una tenda montata nel bosco all’esterno dell’hotspot. "Le mie figlie hanno solo questi vestiti. Non posso neanche lavarli perché non c’è un posto dove fare il bucato". E questo è solo uno dei tanti problemi. Nel campo sovraffollato le code per il cibo richiedono ore, si stima esista una doccia ogni 200 persone e ci sono solo due medici per tutta la popolazione. I bimbi sono costretti a vivere tra rifiuti e animali, senza protezione e nel completo disinteresse dell’Unione Europea. "Questi bambini sono trattati come dei subumani", denuncia Nicolò Govoni, fondatore della Ong italo-greca Still I Rise che da oltre un anno si occupa di dare un’istruzione ai minori profughi sull’isola.

Negli hotspot di Lesbo, Samos, Leros, Kos e Chios sono oggi stipati più di 30mila migranti a fronte di una capacità massima di 6.300 persone. I bambini rappresentano il 35% della popolazione straniera sbarcata sulle cinque isole e circa 6 su 10 hanno meno di 12 anni. "Questo non è un posto adatto per i più piccoli - afferma un giovane afghano che abita nella 'giungla' di Samos -. Qui ci sono ratti, serpenti e altri animali molto pericolosi soprattutto per loro". Ma in quella foresta i minori sono costretti a restare almeno sei mesi prima di ottenere, con le loro famiglie, il lasciapassare verso Atene. E intanto la vita scorre nel campo. In inverno le temperature si abbassano e le piogge allagano le tende. D’estate si superano i 40° e nelle baracche il caldo è soffocante. "Dall’hotspot non ci forniscono niente, alcun vestito o coperta. Di notte fa molto freddo e dobbiamo arrangiarci come possiamo", spiega con un filo di voce una donna siriana incinta. Vive insieme agli altri due figli e a 17 persone in una tenda costruita nella foresta, senza luce né acqua. "Ci arrampichiamo su questa collina per riempiere le bottiglie e avere qualcosa da bere", raccontano alcuni bambini mentre affrontano la ripida discesa portando recipienti più grandi di loro. Tra le rocce sgorga una piccola fonte di acqua, non potabile. "Alcune persone sono state male, ma non abbiamo altro per dissetarci", spiegano alcuni giovani. Anche il cibo scarseggia e per recuperare qualcosa da mangiare, i migranti devono mettersi in fila per ore. "Ho cinque figli e questa mattina mi hanno dato solo tre bottiglie di acqua e tre pezzi di pane. Come faccio a sfamarli?", chiede disperato un padre di famiglia.

Spesso vittime di violenze e abusi, per i bambini la vita nella foresta diventa ogni giorno più difficile. Tra i circa 1.500 minori che vivono nel campo, circa 300 sono non accompagnati, senza mamma o papà. "Molti di loro stanno nella giungla perché nella safe zone, l’area dell’hotspot dedicata a loro, non c’è posto", denuncia Nicolò Govoni. "Questa zona dovrebbe essere presidiata, invece gli adulti entrano ed escono, spesso con alcool e droga. A volte mettono 20 ragazzi in un container quando dovrebbero starcene al massimo 12. Dormono per terra, senza materassi, nella sporcizia. È veramente una condizione grave". E l'Europa sta a guardare. Per questo Still I Rise ha denunciato le autorità che gestiscono l’hotspot. "Abbiamo avviato questa causa per crimini contro l’umanità - spiega Nicolò - e siamo riusciti a portarla al Parlamento europeo. Ora aspettiamo una risposta".

Ogni giorno nello spiazzo a pochi passi dall’ingresso dell’hotspot alcune associazioni radunano i bimbi per farli divertire e distrarre dalla realtà. I loro occhi pieni di speranza e malinconia si accendono anche solo con un saluto.

"Giochiamo con le biglie, così - spiega un bambino afghano lanciano le piccole sfere per terra -. Finito! Ho vinto!", esulta. Alcuni suoi amici corrono per il campo con una corona di cartone in testa: l’hanno costruita con i volontari. Oggi a Samos loro si sentono dei re.

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