Alla fine, quelli del califfo al-Baghdadi sono arrivati anche a lui, a Vladimir Putin. «Questo è un messaggio per te - dice un tagliagole nell'ultimo video dell'Isis, rivolgendosi al capo del Cremlino - Gli aerei che hai inviato a Bashar al Assad, noi li invieremo a te. Libereremo la Cecenia e tutto il Caucaso, se Dio lo vuole». A dire il vero le milizie che combattono al confine fra la Siria e l'Iraq hanno atteso sin troppo prima di inviare questo messaggio: in effetti è Vladimir Putin il loro più grande nemico, è lui l'unico leader sulla scena internazionale che può dire di avere sconfitto gli islamisti e la guerra santa globale. È avvenuto nella parte meridionale della Russia, nelle province maledette che rispondono al nome di Cecenia, Inguscezia, Dagestan, una grande Repubblica indipendente e filo islamica sino alla fine degli anni Novanta. Per quella terra combattevano uomini che ancora oggi ispirano la guerra santa di al Qaida e affini: l'emiro Khattab, avvelenato dai servizi segreti nel 2002; Shamil Basayev, eliminato nel 2006 con un'operazione delle squadre speciali; e Dokka Umarov, l'ultima icona del terrorismo ceceno, morto pochi mesi fa in circostanze che devono ancora essere chiarite.
Putin non ha certo usato le buone maniere per mettere fine all'avventura russa del terrorismo islamico, e le organizzazioni umanitarie considerano la sua campagna cecena - quella che ha riportato la legge e la stabilità in tutta la regione - una colossale violazione dei diritti umani. «Vi staneremo, vi daremo la caccia anche nei vostri cessi», ha minacciato Putin nel momento più duro dello scontro.
Indignazione generale, appelli alla pace dai governi europei ben educati al culto delle minoranze, ma probabilmente è quello il modo migliore per farsi capire da gente che ha pianificato l'attacco alla scuola di Beslan (186 bambini ammazzati) e l'assedio del teatro Dubrovka (126 ostaggi morti). Risultato: oggi la Cecenia è pacificata, l'esercito ha abbandonato la regione, i problemi restano e sono grandi, ma chi vuole predicare il jihad è costretto a farlo altrove. Come in Egitto, nelle moschee del Cairo, oppure in Pakistan, nei quartieri sovrappopolati di Karachi. E ancora in Siria, nelle schiere dello Stato islamico che minaccia quotidianamente l'Europa, gli Stati Uniti, e adesso anche la Russia.
Secondo le stime ufficiali sono almeno 500 i «russi» arruolati da Baghdadi: uno, Omar al Shishtani, ceceno cresciuto in Georgia, ha scalato rapidamente le gerarchie del califfato. La lotta di Putin è cominciata ben prima dell'11 Settembre, ma molti ancora pensano che si tratti di una battaglia diversa rispetto a quella che ancora oggi si combatte su fronti diversi.
Pugno di ferro con i terroristi ed estrema tolleranza per i musulmani che vivono nel Caucaso, in Tatarstan e nei grandi centri della Russia. Sono almeno sedici milioni, un gruppo così ampio da spingere il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, a dire: la Russia è anche un paese islamico. Al pari di cristianesimo, ebraismo e buddismo, l'islam è riconosciuto dalla Costituzione russa come religione ufficiale, un consiglio interreligioso collabora a stretto contatto con Putin per mantenere la stabilità non solo sulle terre russe, ma anche fra le sue fedi diverse. Negli ultimi anni i russi hanno affrontato gli stessi problemi che oggi riguardano il resto dei cittadini europei: l'economia rallenta, la natalità s'arresta, l'immigrazione rischia di finire fuori controllo. Contro quei problemi Putin ha fornito risposte forti, ha usato toni decisi, ma non ha mai fatto mosse avventate.
La scorsa primavera Tony Blair, che non è certo un novellino della politica internazionale, ha chiesto ai colleghi europei di mettere da parte le «analisi a senso unico» e cancellare ogni differenza quando si tratta di combattere contro l'islam radicale: «La Russia e l'occidente desiderano sconfiggere quell'ideologia con la stessa fermezza», ha detto l'ex premier. Alcuni allora hanno storto il naso.
A ben vedere si tratta sempre della stessa combriccola: sono quelli delle porte aperte, del «multikulti», dell'accoglienza senza regole, quelli che disarmerebbero Israele e nel frattempo chiedono di armare i ribelli siriani. A loro, uno come Putin, non può proprio piacere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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