Eroe contro la Cina rossa Wong finisce in carcere. "Ma non ci fermeranno"

Il giovane leader si è dichiarato colpevole ed è stato arrestato con altri due attivisti

Eroe contro la Cina rossa Wong finisce in carcere. "Ma non ci fermeranno"

Che volto ha un eroe? Se parliamo del volto-simbolo della lotta di un popolo per la sua libertà in questi tempi di ripresa dell'autoritarismo nel mondo, ha certamente quello giovanile e gentile, ma molto determinato, di Joshua Wong. Il volto che da anni porta in ogni angolo del pianeta il messaggio che arriva da Hong Kong, quello di una resistenza di un irriducibile Davide contro il Golia della Cina rossa di Xi Jinping. Una Cina che impone leggi liberticide, arresta, deporta e costringe all'osservanza di un patriottismo che in quella città ben pochi sentono.

Appena cinque giorni fa, Joshua era a Roma, ospite del Senato italiano su iniziativa della Fondazione Farefuturo di Adolfo Urso, dove aveva ricordato il pericolo della minaccia cinese non solo per la sua città che chiede invano democrazia, ma per tutto il mondo, Italia compresa. A Roma, il ventiquattrenne leader della resistenza democratica aveva anticipato il suo imminente volontario ritorno a Hong Kong, dove ieri era atteso in tribunale. Un processo pericoloso, che si sarebbe potuto concludere con il suo arresto immediato e con una condanna a cinque o sei anni di prigione per aver organizzato una manifestazione non autorizzata e avervi preso parte. Ciononostante, aveva spiegato Wong, si sarebbe presentato alla sbarra per lanciare un messaggio chiaro: non è questo il momento di arrendersi, anche a costo della libertà personale.

Quanto previsto è puntualmente accaduto ieri. Joshua Wong è stato arrestato subito dopo essersi dichiarato colpevole delle accuse, che si riferiscono a una manifestazione tenuta lo scorso 21 giugno davanti alla sede centrale della polizia di Hong Kong. Insieme con lui sono stati rinchiusi in prigione, in attesa della sentenza prevista per il prossimo 2 dicembre, anche gli attivisti Agnes Chow (23 anni) e Ivan Lam, ventiseienne. Poco prima di entrare in tribunale, Wong aveva diffuso tramite Facebook un suo messaggio in cui denunciava «un sistema giudiziario criminale la cui imparzialità è resa impossibile dalla illegale influenza di Pechino». «E' possibile continuava che trovino un modo per farmi restare in carcere una condanna dopo l'altra. Ma né le sbarre della prigione, né la cancellazione delle elezioni, né nessun altro potere arbitrario potranno fermare il nostro attivismo».

Joshua Wong afferma di non avere alcuna fiducia nel governo di Hong Kong, asservito a Pechino, ma di riporne moltissima nel popolo di Hong Kong. «In questo momento ha spiegato con lucidità stanno mettendo alla prova la capacità di resilienza della nostra società civile, ma credo che essa troverà una strada per sopravvivere». La resistenza di Hong Kong aveva riposto molte delle sue speranze anche nell'intervento di potenze straniere su Xi Jinping. L'ex potenza coloniale britannica, con la quale nel 1997 il governo comunista di Pechino si era impegnato a rispettare cinquant'anni di libertà civili a Hong Kong (la cosiddetta formula «Un Paese due sistemi»), ha purtroppo dimostrato di poter fare poco, anche se ha promesso di accogliere in Gran Bretagna anche milioni di potenziali espatriati. L'America di Donald Trump s'impegna invece soprattutto nel sostegno offerto a Taiwan, la piccola Cina nazionalista che si propone come modello e rifugio per i democratici di Hong Kong.

Proprio domenica scorsa il contrammiraglio americano Michael Studeman, responsabile dell'intelligence Usa nell'Asia-Pacifico, ha fatto una visita non annunciata a Taipei. Mossa studiata per far arrabbiare Xi e mettere un po' in difficoltà il presidente eletto Biden, il cui stile è più prudente.

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