Il destino della guerra in Ucraina e la capacità della Russia di resistere alle conseguenze economiche del conflitto e alle sanzioni occidentali passano anche per il petrolio. L'oro nero di Mosca è stato per diverso tempo messo da parte rispetto al grande tema dell'energia russa, che è stata soprattutto (e necessariamente) collegata ai grandi giacimenti di gas in mano al Cremlino e al potere contrattuale che da essi deriva nei confronti dell'Europa. Ma il petrolio, pur se visto quasi come secondario nelle logiche internazionali, assume un ruolo da non sottovalutare che può incidere sensibilmente sulla partita di Vladimir Putin in questo complesso periodo della storia russa e della sua leadership iniziato con la decisione di invadere l'Ucraina.
Per una potenza che basa la propria economia sull'esportazione di idrocarburi, il prezzo di essi è un elemento centrale della propria agenda strategica. Il gioco di domanda e offerta e il conseguente equilibrio dei prezzi rappresenta una chiave forse imprescindibile per comprendere le dinamiche politiche e anche le decisioni poste in essere da un governo. La Russia rientra perfettamente in questo schema ed è anche per questo che l'andamento del prezzo del petrolio può essere un'importante cartina di tornasole rispetto al presente e al futuro di Mosca.
Alcuni dati più recenti forniscono alcuni spunti di riflessione. Il Foglio riporta per esempio come i futures sul petrolio da qualche giorno scendono "dopo che i dati economici pubblicati lunedì hanno aggiunto le preoccupazioni per un rallentamento cinese ai timori di una recessione europea, confermando il calo delle quotazioni legate alle prospettive economiche globali". Il tema è fondamentale anche per Putin, dal momento che se il calo dei prezzi diventa costante questo comporta un cambio di rotta anche per le casse del proprio Paese, radicate sull'export di materie prime ed energia. Per ora non sono state registrati ancora gli effetti più incisivi dell'embargo dell'Unione europea sul petrolio russo, dal momento che le sanzioni entreranno in vigore in tempi diversi e con modalità che evitano uno stop totale. Inoltre, e questo è un punto altrettanto importante, la Russia ha potuto sfruttare l'enorme richiesta dei colossi asiatici, in particolare Cina e India, riuscendo in qualche modo a riallocare il petrolio non venduto verso clienti sicuramente molto esigenti ma a prezzi di favore.
La situazione però non sembra essere sostenibile in un periodo molto lungo per due motivi. Di base c'è un problema meramente economico per cui lo sconto sull'energia verso i Paesi asiatici può avere senso solo in un periodo di prezzi mondiali elevati. In caso di ulteriore diminuzione, è chiaro che un esportatore non possa confermare un prezzo di favore che rischia di fare scendere troppo gli introiti. Inoltre, il mercato del petrolio appare incerto sia per il futuro dell'embargo Ue, che secondo alcuni analisti ridurrà la produzione russa di più di un milione di barili al giorno, sia per il rallentamento mondiale dell'economia, sia perché gli stessi Paesi asiatici hanno "rastrellato" quanto potevano sfruttando la guerra. Ma questa caccia ai barili di petrolio russo potrebbe rallentare sia da parte dell'India che da parte della Cina. Infine, in base a un'analisi di Bloomberg, lo scenario dell'inverno sembra essere ben diverso rispetto a quello estivo anche perché si immagina che la risposta interna delle raffinerie russe per colmare i mancati acquisti esterni non possa proseguire nelle stagioni successive. E non possa soprattutto sostituire gli acquisti da parte dei Paesi europei. L'impressione quindi è che molto dipenderà da come interverranno le sanzioni europee sull'oro nero, con Mosca che probabilmente spera in un ripensamento dell'Ue in virtù dell'aumento dei costi del gas.
In questo momento per il Cremlino e i suoi colossi degli idrocarburi si tratta quindi di scommettere sui clienti asiatici e su un cambiamento di linea (anche non totale) dell'Europa sul fronte sanzionatorio. Come scrive Agi, la Russia sta comunque aumentando le previsioni sulla produzione e l'export di petrolio puntando sugli acquirenti asiatici. E la domanda cinese e indiana ha per ora sostenuto anche la ripresa dei prezzi.
Ma sotto questo profilo, non va sottovalutata l'ipotesi di un viaggio del leader cinese Xi Jinping in Arabia Saudita che, secondo alcuni media, sarebbe questione di giorni. Secondo una fonte citata dal Jerusalem Post, la visita "vedrà la firma di più accordi economici su una serie di asset, in particolare l'energia e la sicurezza alimentare". Da tempo si parla di un possibile impiego della moneta cinese e non più del dollaro nelle transazioni sul petrolio tra Pechino e Riad e molti sottolineano che questa visita potrebbe essere più un segnale a Washington che a Mosca. Il ministero degli Esteri della Cina, almeno fino alla scorsa settimana, non ha confermato (né smentito) le voci sul viaggio di Xi anche perché è da gennaio del 2020 che il presidente della Repubblica popolare non lascia il proprio Paese.
Tuttavia, è chiaro che un maggiore impegno saudita nell'approvvigionamento petrolifero cinese potrebbe essere interessante anche per la Russia, specialmente in caso di piena o rinnovata attivazione dell'embargo europeo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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